martedì 8 maggio 2012

Lo Statuto dei diritti dei lavoratori


Ha fatto bene la CGIL a decidere di opporsi alla modifica dell’art. 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Lo Statuto in questi anni ha consentito di riequilibrare i poteri all’interno del luogo di lavoro affidando ad un terzo, il giudice, la facoltà di regolare le ragioni delle parti allorché il contratto che regola il rapporto di lavoro è unilateralmente messo in discussione dal datore di lavoro, introducendo il concetto di giusta causa di licenziamento. Ciò significa che il datore di lavoro può licenziare il lavoratore, ma solo a condizione che ne sussistano le ragioni, le quali sono già previste e codificate dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Occorre, quindi, sfatare il senso comune che vuole che con l’art. 18 non si possono fare i licenziamenti. Altri sono i problemi: chi deve pagare il costo della crisi, come uscire dalla crisi. Gli effetti della globalizzazione sulla capacità delle aziende di competere non sono un fatto che può essere fatto risalire alla bolla speculativa dell’anno scorso, le sue origini risalgono al 1973, all’epoca del primo shock  petrolifero che causò l’improvvisa interruzione di approvvigionamento di petrolio da parte dei Paesi dell’OPEC verso i Paesi occidentali. L’apparire sulla scena mondiale dei Paesi produttori in forma organizzata ha comportato un rivolgimento della situazione economica e politica internazionale. Da un lato i Paesi occidentali hanno dovuto sostenere i costi di un’epocale rivisitazione del modello di sviluppo, dall’altro i Paesi poveri hanno iniziato il cammino per affrancarsi dalle catene dello sfruttamento delle loro risorse e dalla miseria. In Inghilterra cominciò la Thatcher con lo smantellamento dello Stato sociale e un massiccio ricorso alle liberalizzazioni, subito dopo imitata da Ronald Reagan negli Stati Uniti d’America. Ma mentre in questi Paesi i processi di riconversione dell’economia e di contenimento della spesa pubblica furono accompagnati da massicci interventi nell’innovazione tecnologica, nella ricerca e nella formazione, in Italia si è proceduto solo sul versante del contenimento della spesa pubblica e sullo smantellamento dello Stato Sociale, e della privatizzazione dei settori strategici quali l’energia, i trasporti, la telefonia,le poste, senza mai ottenere i risultati sperati in termini di vantaggi per i cittadini quali il contenimento dei costi e il miglioramento dei servizi. Come se non bastasse, non solo il Paese è in ritardo sul fronte dell’innovazione e della ricerca, ma le imprese di punta dell’economia invece di riconvertire gli impianti per adeguarsi ai nuovi standard di qualità richiesti dal mercato globale, hanno preferito la delocalizzazione, mortificando in tal modo ogni speranza di futuro delle nuove generazioni. La cancellazione della scala mobile, la riforma della contrattazione salariale, l’allungamento dell’età pensionabile, la compartecipazione alla spesa sanitaria, l’abolizione del collocamento pubblico (conquistato duramente con il sangue dei braccianti di Avola), l’introduzione di una molteplicità di contratti di assunzione, avrebbero dovuto consentire alle imprese e allo Stato, a fronte di un pesante carico di sacrifici per i lavoratori e le famiglie, di  operare le riforme necessarie per rendere il sistema competitivo ed incentivare l’occupazione. Ma non è successo nulla, così mentre gli altri Paesi sono cresciuti in tutti gli indici di sviluppo (PIL, occupazione, innovazione, competitività), l’Italia ha visto crescere solo gli indici negativi (debito pubblico, disoccupazione, povertà, diseguaglianze, ignoranza). Oggi di fronte al pericolo di default del Paese, si richiedono nuovi sacrifici non solo in termini monetari, ma la parte più retriva del padronato italiano pretende di azzerare la stagione dei diritti dei lavoratori attraverso la soppressione dell’ultima norma rimasta a difendere la dignità dei lavoratori: l’art. 18. Mi ha detto uno pseudo imprenditore: “Ma allora come si fa a liberare l’impresa dai fannulloni per dare lavoro a chi lo merita veramente?”. I fannulloni sarebbero le donne incinte, i genitori che hanno bambini con gravi handicap, i lavoratori che hanno superato i 50 anni, i rappresentanti sindacali, coloro che sono cagionevoli di salute, gli iscritti ai partiti di sinistra (i cosiddetti comunisti). I have a dream: emigrare in un’isola deserta del Pacifico o fare una rivoluzione.

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