mercoledì 30 gennaio 2019

Una storia di braccianti, riflessioni sulla mia città.


La lettera del clero locale rivolta alla cittadinanza sembra avere stimolato  un dibattito politico ormai assente da tempo nella città di Vittoria. Ce n’era bisogno? Io credo di si. Aldilà dei giudizi e delle prese di posizione fin qui registrate, i sacerdoti, che non sono dei  politicanti adusi alle finezze della propaganda politica, hanno espresso un disagio, l’hanno fatto con gli strumenti che gli sono propri, interpretando umori e sentimenti di una città che ormai da tempo vive un disorientamento, un’incapacità a ritrovare il bandolo della matassa, dopo anni di crescita ed espansione della sua forza produttiva. Forse i sacerdoti non sono consapevoli che tutta la verità non sta scritta nel loro comunicato, ma sicuramente hanno presente di muoversi in un deserto di relazioni e di progetti. Perché bisogna dirlo con forza che questo deserto non è nato con lo scioglimento del consiglio comunale e la cacciata del sindaco per presunte collusioni con ambienti mafiosi. Il deserto della società civile a Vittoria c’era da tempo, e semmai lo scioglimento intervenuto di recente non è che la conclusione di un lungo processo di inaridimento del complesso sistema di relazioni tra forze politiche e sociali, sistema produttivo e istituzioni pubbliche, in un contesto sempre più aggravato da condizionamenti di tipo mafioso.

A Vittoria si è concluso, da tempo, il ciclo storico che ebbe inizio tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso, allorché migliaia di braccianti senza terra, avviando la sperimentazione delle coltivazioni degli ortaggi sotto serra, si trasformarono in piccoli produttori agricoli, acquistando modesti appezzamenti di terreno. Non fu un movimento spontaneo. I braccianti erano organizzati nei sindacati ed esprimevano una consistente rappresentanza politica raccolta attorno ai partiti di sinistra. A seguito di quelle trasformazioni, una nuova categoria di piccoli imprenditori agricoli si conquistò uno spazio entro l’alveo del ceto medio cittadino. Dentro le logiche di quello che viene considerato l’ascensore sociale, i nuovi arrivati oltre ad affrancarsi dall’antica servitù del lavoro salariato, iniziarono ad esprimere bisogni nuovi, quali possedere una casa, avere un’automobile, il telefono, fare studiare i figli, aspirare ad una seconda casa. Tutto ciò avvenne in una Sicilia attraversata da mille contraddizioni, mentre Vittoria sperimentava un originale laboratorio sociale ed economico. All’interno del Partito Comunista, che rappresentava la maggioranza del movimento bracciantile, si aprì perfino una discussione di non secondaria importanza. Il Partito, allora,  era reduce dalla lotta per la conquista della terra, negli anni precedenti si era dovuto confrontare in numerose realtà dell’isola con il fallimento della riforma agraria. La rincorsa all’acquisto della terra da parte dei braccianti ragusani apparve come una naturale conseguenza di quel fallimento, finché un congresso cittadino  che si tenne a Vittoria, si concluse con una mozione sintetizzata nella parola d’ordine “la terra si acquista e non si conquista”. Il gruppo dirigente in questo modo anticipava di qualche decennio la svolta riformista del Partito Comunista. Ma il confronto non si fermò solo a dirimere la questione tra acquisto o conquista della terra. Nello stesso periodo nelle terre del Buonincontro, tra Vittoria e Gela, venne scoperto un grosso giacimento di petrolio che accese speranze in larghe fasce dell’opinione pubblica, inducendo un lungo e appassionato dibattito, che si concluse con la definitiva ed irreversibile scelta delle nascenti trasformazioni agrarie. All’oro nero si preferì l’oro verde.

Le trasformazioni produttive ebbero uno sviluppo tumultuoso ed imprevisto. Sebbene le amministrazioni di sinistra, suffragate da un’imponente rete associativa promossa dai partiti  e dai sindacati, si impegnarono a rivitalizzare il tessuto sociale e civile del territorio, alcuni settori del ceto medio cittadino, avvalendosi di autorevoli complicità, diedero vita ad una fitta rete di speculazioni, correlate in parte alla vendita di terreni agricoli data la forte richiesta di appezzamenti di terreno da destinare alle colture serricole, in parte sui terreni necessari a soddisfare il bisogno di case cui aspiravano i nuovi produttori. Ci fu perfino chi festeggiò con gli amici il raggiungimento di un miliardo di patrimonio. Le dune sabbiose che nessuno avrebbe mai acquistato perché considerate improduttive, furono vendute a caro prezzo e la stragrande maggioranza dei braccianti dovette indebitarsi per poterne acquistare tanto quanto necessario a mantenere la famiglia. La stessa cosa si verificò per le aree destinate all’edificazione. Con il favore di alcuni notai i terreni che avrebbero dovuto prima essere lottizzati, venivano venduti come frustoli di terreno agrario, mediamente di cento metri quadrati, favorendo in tal modo la proliferazione di interi quartieri abusivi, e lasciando alla pubblica amministrazione l’onere di sanare gli stessi quartieri portandovi  acqua potabile, fognature, illuminazione pubblica e scuole. Di fronte alla complessità dei problemi che incombevano, il dibattito pubblico si inasprì e nel 1963 l’amministrazione di sinistra fu estromessa dal governo cittadino nel pieno delle trasformazioni in atto, grazie al cambio di casacca,  indotto dalle promesse dell’opposizione, di alcuni  consiglieri comunali. Durante questo periodo, lungo sette anni, intervallato da gestioni commissariali, il piano regolatore generale stentava a decollare, le previsioni urbanistiche prestavano il fianco a speculazioni edilizie di vasta portata; ebbe inizio il sacco urbanistico e la città si espanse a dismisura. Il PRG, nel frattempo,   venne bocciato dalla regione ripetutamente,  mentre la speculazione  si ingrassava attirando l’attenzione di gruppi criminali interessati all’investimento di capitali di dubbia provenienza. Bisogna aspettare il 1975 per venire a capo della complessa situazione. Le nuove amministrazioni che si susseguirono, approvarono il nuovo programma di fabbricazione e avviarono un vasto programma di risanamento: scuole materne, asili nido, servizi sociali, attività culturali, acqua, fognature, mercato ortofrutticolo. Ma mentre la città procedeva a consolidare il proprio modello di sviluppo, vasti interessi speculativi, una complicata matassa di interessi trasversali che non disdegnavano l’apporto di inquietanti sostegni mafiosi, ne segnavano la crescita. Ad un certo punto le forze politiche di sinistra non riuscirono più a governare quel lungo e faticoso processo di cambiamento. Dilaniate dalla conflittualità dei propri gruppi dirigenti, negli anni  assistettero immobili allo sfaldamento di quel tessuto associativo che aveva funzionato da freno alla pervasività di interessi parassitari contigui ad una criminalità raffinata, che si esprimeva non soltanto contaminandosi con i gruppi di fuoco che si contendevano le tradizionali attività dello spaccio di droga e del racket delle estorsioni, ma riuscendo perfino ad occultarsi dentro un verminaio di relazioni affollato da interessi di varia natura, cui non rimasero estranei settori non ben identificati delle istituzioni pubbliche.

Come se non bastasse, i cambiamenti economici introdotti dalla globalizzazione hanno finito per  accentuare il processo di degradazione del tessuto economico e sociale della città. L’emergere della Grande Distribuzione Organizzata ha radicalmente cambiato il sistema mercantile che nel tempo si era consolidato attorno al mercato ortofrutticolo, ed il sistema produttivo, per sopravvivere, ha fatto ricorso alla manodopera degli immigrati dando origine ad una inedita condizione economica, dove produttori e lavoratori agricoli si trovano nella stessa condizione di mera sussistenza, caratterizzata dalla bassa remunerazione del prodotto e dallo svilimento dei salari, così i due protagonisti dell’attività di impresa, il produttore ed il lavoratore salariato, vivono ai limiti del proprio sostentamento i primi, ed ai limiti della dignità umana  i secondi. Migliaia di produttori, per  mantenere il livello di vita guadagnato dopo anni di duri sacrifici e continuare la loro attività di impresa, negli anni si sono indebitati sottoponendosi a nuove forme di sfruttamento, testimoniato anche dalle decine di sportelli bancari che in dispregio di qualunque logica economica continuano a sorgere come funghi. Sono migliaia le case pignorate poste all’asta per insolvenza nei pagamenti da parte di tantissime imprese ridotte al lastrico. Vecchi e nuovi speculatori, evidenti ed occulti, alimentano quel verminaio mai estinto che si nutre di antiche e  nuove forme di connivenza criminale di cui si stenta, ancora una volta, a comprenderne i perversi meccanismi.

Dentro questo quadro disarmante, la città negli ultimi anni ha assistito al graduale, e ora definitivo, impoverimento del proprio tessuto associativo. Associazioni professionali e partiti sono letteralmente scomparsi e se qualcuno ancora dà segni di una qualche testimonianza, manca, comunque, di un progetto, di una capacità di analisi della realtà complessa in cui si muovono i vari attori sociali. Le amministrazioni comunali si sono fermate alla gestione ordinaria, non comprendendo che nel nuovo assetto globale delle relazioni umane, spetta alla rappresentanza locale  dare slancio al tessuto associativo, promuovendo, attraverso una rinnovata progettualità, un proficuo rapporto con le istituzioni nazionali ed europee anche attraverso una riqualificazione delle risorse umane di cui dispone. La gestione spicciola del potere, l’alimentare  il proliferare di clientele vecchie e nuove, muoversi dentro un labile confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, ha contrassegnato l’attività di non pochi politici lungo questi anni, sempre con l’occhio  puntato ad un seggio al parlamento regionale o al parlamento nazionale, obiettivo che assicura piccoli privilegi e una rendita sicura a politici di poco pregio, perlopiù svincolati dagli ideali e dall’etica di chi li ha preceduti, considerati questi ultimi poco più che dei rincoglioniti. La Regione e lo Stato assenti, succubi di un’Europa considerata nemica dai produttori per non avere saputo valorizzare non solo le trasformazioni intervenute, ma per non avere percepito per tempo come questa plaga meridionale fosse diventata strategica entro i nuovi scenari mondiali e, soprattutto, con l’emergere dell’Africa come interlocutore necessario per la stabilità in Europa.

Dentro questo quadro disarmante, vecchie e nuove forme criminali si organizzano per dare il colpo definitivo a ciò che resta dell’economia florida e promittente di una volta. Ed è per questo motivo che lo scioglimento del consiglio comunale non spiega di per sè tutto il malessere in cui versa la città, che non può essere ridotto allo scambio di qualche voto da parte di piccoli criminali interessati ad una promessa di assunzione al comune. Dentro il verminaio in cui allignano interessi di vasta portata,  agiscono attori di vario livello, molti dei quali riescono ad occultarsi grazie a complicità e connivenze che sfuggono alle lenti piuttosto appannate degli inquirenti. Perché non ci si chiede come è possibile che in una fase di grave recessione economica, migliaia di case pignorate a famiglie arrivate sul lastrico, vengono messe all’asta e vendute a prezzi stracciati? Forse che tale meccanismo non è in correlazione con un’economia che si nutre di vecchie e nuove attività criminali? All’interno di questo perverso sistema  vanno anche approfondite le scelte di natura urbanistica contenute  nel piano regolatore varato dalle ultime amministrazioni. Le nuove previsioni urbanistiche prevedono l'edificazione lungo ciò che resta della costa che partendo da Vittoria si snoda fino a quasi la città di Acate,  dove il patrimonio costruito, per densità, risulta già ampiamente sovradimensionato e che solo per tale motivo sarebbe necessario l’approfondimento, per capire quali interessi si celano dietro scelte apparentemente illogiche e perciò incomprensibili. Basterebbe esaminare i passaggi di proprietà che si sono succedute negli ultimi dieci anni lungo la costa per trarre le necessarie considerazioni. La città è in ginocchio, ma non ha perso la speranza, non ha smesso di sognare. Solo chi questa storia di braccianti non l’ha vissuta e non la conosce, può azzardare di pensarla arresa e frustrata. Malgrado le conseguenze della crisi economica, che Vittoria vive alla stregua delle altre città del Meridione d’Italia, ogni mattina partono dal mercato centinaia di camion pieni di primizie che profumano ancora di intelligenza operosa e di consapevolezza delle proprie potenzialità. Mai, comunque, come in questi anni l’interlocuzione è stata così difficile con i governi regionali e nazionali, e ciò rende complicato riprogettare un nuovo ciclo economico. I produttori sono soli, e da soli tutto diventa più difficile e maledettamente complicato. Eppure la gente a Vittoria continua con coraggio a scommettere, a sperimentare, a soffrire ma non ad arrendersi. Ha solo bisogno di darsi una nuova classe dirigente capace di sapere interpretare i  suoi bisogni, indicare la via, esplicitare gli obiettivi e sapere come mobilitare le energie che ci sono. Ma il clero locale, se può avvertire e denunciare il disagio in cui versa la città,  non ha impresso nella propria missione il compito di svelare il complicato bandolo della matassa. La città ha bisogno di una ripartenza per la quale da un lato non è più procrastinabile lo smantellamento alla radice del perverso intreccio di interessi illegali, dall’altro è necessario fare emergere al più presto alla vita pubblica il tessuto sano di cui dispone ampiamente, e questo è il compito della commissione prefettizia.