La lettera del clero locale rivolta
alla cittadinanza sembra avere stimolato un dibattito politico ormai assente da tempo
nella città di Vittoria. Ce n’era bisogno? Io credo di si. Aldilà dei giudizi e
delle prese di posizione fin qui registrate, i sacerdoti, che non sono dei politicanti adusi alle finezze della
propaganda politica, hanno espresso un disagio, l’hanno fatto con gli strumenti
che gli sono propri, interpretando umori e sentimenti di una città che ormai da
tempo vive un disorientamento, un’incapacità a ritrovare il bandolo della
matassa, dopo anni di crescita ed espansione della sua forza produttiva. Forse
i sacerdoti non sono consapevoli che tutta la verità non sta scritta nel loro
comunicato, ma sicuramente hanno presente di muoversi in un deserto di
relazioni e di progetti. Perché bisogna dirlo con forza che questo deserto non
è nato con lo scioglimento del consiglio comunale e la cacciata del sindaco per
presunte collusioni con ambienti mafiosi. Il deserto della società civile a
Vittoria c’era da tempo, e semmai lo scioglimento intervenuto di recente non è
che la conclusione di un lungo processo di inaridimento del complesso sistema
di relazioni tra forze politiche e sociali, sistema produttivo e istituzioni
pubbliche, in un contesto sempre più aggravato da condizionamenti di tipo
mafioso.
A Vittoria si è concluso, da
tempo, il ciclo storico che ebbe inizio tra gli anni sessanta e settanta del
secolo scorso, allorché migliaia di braccianti senza terra, avviando la
sperimentazione delle coltivazioni degli ortaggi sotto serra, si trasformarono
in piccoli produttori agricoli, acquistando modesti appezzamenti di terreno.
Non fu un movimento spontaneo. I braccianti erano organizzati nei sindacati ed
esprimevano una consistente rappresentanza politica raccolta attorno ai partiti
di sinistra. A seguito di quelle trasformazioni, una nuova categoria di piccoli
imprenditori agricoli si conquistò uno spazio entro l’alveo del ceto medio
cittadino. Dentro le logiche di quello che viene considerato l’ascensore
sociale, i nuovi arrivati oltre ad affrancarsi dall’antica servitù del lavoro
salariato, iniziarono ad esprimere bisogni nuovi, quali possedere una casa,
avere un’automobile, il telefono, fare studiare i figli, aspirare ad una seconda
casa. Tutto ciò avvenne in una Sicilia attraversata da mille contraddizioni, mentre
Vittoria sperimentava un originale laboratorio sociale ed economico.
All’interno del Partito Comunista, che rappresentava la maggioranza del
movimento bracciantile, si aprì perfino una discussione di non secondaria
importanza. Il Partito, allora, era reduce
dalla lotta per la conquista della terra, negli anni precedenti si era dovuto
confrontare in numerose realtà dell’isola con il fallimento della riforma
agraria. La rincorsa all’acquisto della terra da parte dei braccianti ragusani apparve
come una naturale conseguenza di quel fallimento, finché un congresso cittadino
che si tenne a Vittoria, si concluse con
una mozione sintetizzata nella parola d’ordine “la terra si acquista e non si
conquista”. Il gruppo dirigente in questo modo anticipava di qualche decennio
la svolta riformista del Partito Comunista. Ma il confronto non si fermò solo a
dirimere la questione tra acquisto o conquista della terra. Nello stesso
periodo nelle terre del Buonincontro, tra Vittoria e Gela, venne scoperto un
grosso giacimento di petrolio che accese speranze in larghe fasce dell’opinione
pubblica, inducendo un lungo e appassionato dibattito, che si concluse con la
definitiva ed irreversibile scelta delle nascenti trasformazioni agrarie. All’oro
nero si preferì l’oro verde.
Le trasformazioni produttive
ebbero uno sviluppo tumultuoso ed imprevisto. Sebbene le amministrazioni di sinistra,
suffragate da un’imponente rete associativa promossa dai partiti e dai sindacati, si impegnarono a
rivitalizzare il tessuto sociale e civile del territorio, alcuni settori del
ceto medio cittadino, avvalendosi di autorevoli complicità, diedero vita ad una
fitta rete di speculazioni, correlate in parte alla vendita di terreni agricoli data la forte richiesta di appezzamenti di terreno da destinare
alle colture serricole, in parte sui terreni necessari a soddisfare il bisogno
di case cui aspiravano i nuovi produttori. Ci fu perfino chi festeggiò con gli
amici il raggiungimento di un miliardo di patrimonio. Le dune sabbiose che
nessuno avrebbe mai acquistato perché considerate improduttive, furono vendute
a caro prezzo e la stragrande maggioranza dei braccianti dovette indebitarsi
per poterne acquistare tanto quanto necessario a mantenere la famiglia. La
stessa cosa si verificò per le aree destinate all’edificazione. Con il favore di
alcuni notai i terreni che avrebbero dovuto prima essere lottizzati, venivano
venduti come frustoli di terreno agrario, mediamente di cento metri quadrati,
favorendo in tal modo la proliferazione di interi quartieri abusivi, e
lasciando alla pubblica amministrazione l’onere di sanare gli stessi quartieri portandovi
acqua potabile, fognature, illuminazione
pubblica e scuole. Di fronte alla complessità dei problemi che incombevano, il
dibattito pubblico si inasprì e nel 1963 l’amministrazione di sinistra fu
estromessa dal governo cittadino nel pieno delle trasformazioni in atto, grazie
al cambio di casacca, indotto dalle
promesse dell’opposizione, di alcuni
consiglieri comunali. Durante questo periodo, lungo sette anni,
intervallato da gestioni commissariali, il piano regolatore generale stentava a
decollare, le previsioni urbanistiche prestavano il fianco a speculazioni
edilizie di vasta portata; ebbe inizio il sacco urbanistico e la città si
espanse a dismisura. Il PRG, nel frattempo, venne bocciato dalla regione ripetutamente, mentre la speculazione si ingrassava attirando l’attenzione di gruppi
criminali interessati all’investimento di capitali di dubbia provenienza.
Bisogna aspettare il 1975 per venire a capo della complessa situazione. Le
nuove amministrazioni che si susseguirono, approvarono il nuovo programma di
fabbricazione e avviarono un vasto programma di risanamento: scuole materne,
asili nido, servizi sociali, attività culturali, acqua, fognature, mercato
ortofrutticolo. Ma mentre la città procedeva a consolidare il proprio modello
di sviluppo, vasti interessi speculativi, una complicata matassa di interessi
trasversali che non disdegnavano l’apporto di inquietanti sostegni mafiosi, ne
segnavano la crescita. Ad un certo punto le forze politiche di sinistra non
riuscirono più a governare quel lungo e faticoso processo di cambiamento. Dilaniate
dalla conflittualità dei propri gruppi dirigenti, negli anni assistettero immobili allo sfaldamento di quel
tessuto associativo che aveva funzionato da freno alla pervasività di interessi
parassitari contigui ad una criminalità raffinata, che si esprimeva non
soltanto contaminandosi con i gruppi di fuoco che si contendevano le
tradizionali attività dello spaccio di droga e del racket delle estorsioni, ma
riuscendo perfino ad occultarsi dentro un verminaio di relazioni affollato da
interessi di varia natura, cui non rimasero estranei settori non ben identificati
delle istituzioni pubbliche.
Come se non bastasse, i
cambiamenti economici introdotti dalla globalizzazione hanno finito per accentuare il processo di degradazione del
tessuto economico e sociale della città. L’emergere della Grande Distribuzione
Organizzata ha radicalmente cambiato il sistema mercantile che nel tempo si era
consolidato attorno al mercato ortofrutticolo, ed il sistema produttivo, per
sopravvivere, ha fatto ricorso alla manodopera degli immigrati dando origine ad
una inedita condizione economica, dove produttori e lavoratori agricoli si
trovano nella stessa condizione di mera sussistenza, caratterizzata dalla bassa
remunerazione del prodotto e dallo svilimento dei salari, così i due
protagonisti dell’attività di impresa, il produttore ed il lavoratore salariato,
vivono ai limiti del proprio sostentamento i primi, ed ai limiti della dignità
umana i secondi. Migliaia di produttori,
per mantenere il livello di vita
guadagnato dopo anni di duri sacrifici e continuare la loro attività di
impresa, negli anni si sono indebitati sottoponendosi a nuove forme di
sfruttamento, testimoniato anche dalle decine di sportelli bancari che in
dispregio di qualunque logica economica continuano a sorgere come funghi. Sono
migliaia le case pignorate poste all’asta per insolvenza nei pagamenti da parte
di tantissime imprese ridotte al lastrico. Vecchi e nuovi speculatori, evidenti
ed occulti, alimentano quel verminaio mai estinto che si nutre di antiche
e nuove forme di connivenza criminale di
cui si stenta, ancora una volta, a comprenderne i perversi meccanismi.
Dentro questo quadro disarmante,
la città negli ultimi anni ha assistito al graduale, e ora definitivo, impoverimento
del proprio tessuto associativo. Associazioni professionali e partiti sono
letteralmente scomparsi e se qualcuno ancora dà segni di una qualche
testimonianza, manca, comunque, di un progetto, di una capacità di analisi
della realtà complessa in cui si muovono i vari attori sociali. Le
amministrazioni comunali si sono fermate alla gestione ordinaria, non comprendendo
che nel nuovo assetto globale delle relazioni umane, spetta alla rappresentanza
locale dare slancio al tessuto associativo, promuovendo, attraverso una
rinnovata progettualità, un proficuo rapporto con le istituzioni nazionali ed
europee anche attraverso una riqualificazione delle risorse umane di cui
dispone. La gestione spicciola del potere, l’alimentare il proliferare di clientele vecchie e nuove,
muoversi dentro un labile confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, ha contrassegnato
l’attività di non pochi politici lungo questi anni, sempre con l’occhio puntato
ad un seggio al parlamento regionale o al parlamento nazionale, obiettivo che
assicura piccoli privilegi e una rendita sicura a politici di poco pregio, perlopiù
svincolati dagli ideali e dall’etica di chi li ha preceduti, considerati questi
ultimi poco più che dei rincoglioniti. La Regione e lo Stato assenti, succubi
di un’Europa considerata nemica dai produttori per non avere saputo valorizzare
non solo le trasformazioni intervenute, ma per non avere percepito per tempo
come questa plaga meridionale fosse diventata strategica entro i nuovi scenari
mondiali e, soprattutto, con l’emergere dell’Africa come interlocutore necessario
per la stabilità in Europa.
Dentro questo quadro disarmante,
vecchie e nuove forme criminali si organizzano per dare il colpo definitivo a
ciò che resta dell’economia florida e promittente di una volta. Ed è per questo
motivo che lo scioglimento del consiglio comunale non spiega di per sè tutto il
malessere in cui versa la città, che non può essere ridotto allo scambio di
qualche voto da parte di piccoli criminali interessati ad una promessa di
assunzione al comune. Dentro il verminaio in cui allignano interessi di vasta
portata, agiscono attori di vario
livello, molti dei quali riescono ad occultarsi grazie a complicità e
connivenze che sfuggono alle lenti piuttosto appannate degli inquirenti. Perché
non ci si chiede come è possibile che in una fase di grave recessione economica,
migliaia di case pignorate a famiglie arrivate sul lastrico, vengono messe
all’asta e vendute a prezzi stracciati? Forse che tale meccanismo non è in
correlazione con un’economia che si nutre di vecchie e nuove attività
criminali? All’interno di questo perverso sistema vanno anche approfondite le scelte di natura
urbanistica contenute nel piano
regolatore varato dalle ultime amministrazioni. Le nuove previsioni urbanistiche prevedono l'edificazione lungo ciò che resta della costa che partendo da Vittoria si snoda fino a quasi la città di
Acate, dove il patrimonio
costruito, per densità, risulta già ampiamente sovradimensionato e che solo per
tale motivo sarebbe necessario l’approfondimento, per capire quali interessi si
celano dietro scelte apparentemente illogiche e perciò incomprensibili.
Basterebbe esaminare i passaggi di proprietà che si sono succedute negli ultimi
dieci anni lungo la costa per trarre le necessarie considerazioni. La città è
in ginocchio, ma non ha perso la speranza, non ha smesso di sognare. Solo chi
questa storia di braccianti non l’ha vissuta e non la conosce, può azzardare di
pensarla arresa e frustrata. Malgrado le conseguenze della crisi economica, che
Vittoria vive alla stregua delle altre città del Meridione d’Italia, ogni
mattina partono dal mercato centinaia di camion pieni di primizie che profumano
ancora di intelligenza operosa e di consapevolezza delle proprie potenzialità. Mai,
comunque, come in questi anni l’interlocuzione è stata così difficile con i
governi regionali e nazionali, e ciò rende complicato riprogettare un nuovo
ciclo economico. I produttori sono soli, e da soli tutto diventa più difficile
e maledettamente complicato. Eppure la gente a Vittoria continua con coraggio a
scommettere, a sperimentare, a soffrire ma non ad arrendersi. Ha solo bisogno
di darsi una nuova classe dirigente capace di sapere interpretare i suoi bisogni, indicare la via, esplicitare gli
obiettivi e sapere come mobilitare le energie che ci sono. Ma il clero locale,
se può avvertire e denunciare il disagio in cui versa la città, non ha impresso nella propria missione il
compito di svelare il complicato bandolo della matassa. La città ha bisogno di
una ripartenza per la quale da un lato non è più procrastinabile lo
smantellamento alla radice del perverso intreccio di interessi illegali,
dall’altro è necessario fare emergere al più presto
alla vita pubblica il tessuto sano di cui dispone ampiamente, e questo
è il compito della commissione prefettizia.