Sono molti gli amici, persone che
stimo e alle quali voglio molto bene, che in queste ultime ore protestano e
criticano le misure del Governo per affrontare la fase 2 della pandemia. Come
non tenere nella giusta considerazione il grido di dolore che viene dal mondo
produttivo e le preoccupazioni per l’aggravarsi della crisi economica! Ma siamo
in guerra, una guerra vera, non certo quella della playstation. Il nemico non
ha forme umane, si nasconde, ma miete vittime a migliaia, incute paura, crea
ansia e preoccupazione. Ma proprio perché siamo in guerra è opportuno ragionare
con la testa, gli errori potrebbero causare disastri irreversibili, causare
altre migliaia di vittime innocenti. Ci troviamo di fronte ad un nemico
sconosciuto, capace di aggirare tutte le strategie messe in atto dagli
scienziati contro altri nemici similari. Le uniche armi finora rivelatesi utili
sono costituite dall’isolamento, il virus viaggia sulle gambe degli uomini,
niente terapie efficaci, niente vaccino. Restare a casa è l’unica possibilità
di togliere energia al virus e, in prospettiva, per un tempo ancora indefinito,
dovremo combattere una lunga e logorante guerra di posizione. Tutti sono
costretti a viaggiare a vista, scienziati, politici, funzionari, rincorrono un
nemico privati di bussola. Il nemico si nasconde, si mimetizza, manda messaggi
contraddittori, si prende beffa di tutti. Per la prima volta nella storia
recente, i politici hanno perso l’orientamento, non sanno letteralmente che
pesci prendere e allora si sono, saggiamente, affidati ai tecnici e agli
scienziati. Lasciati in garage gli F-35, hanno capito che le armi che possono
essere usate contro il nemico sono costituite dallo studio e dalla ricerca,
attitudini delle quali i nostri politici sono scarsamente dotati, però hanno
avuto il buon senso di mettere a disposizione dei cittadini tutte le risorse
disponibili, in modo equo e democratico: poco, anzi pochissimo ai ricchi, il
necessario a chi ha bisogno. Io sono nato quando la guerra si era conclusa, in
pratica nell’immediato dopoguerra, quando fame e miseria governavano la vita di
una grande parte della popolazione. Quando i miei genitori a merenda mi davano
una fetta di pane fatto in casa con un filo d’olio e un po’ di capuliato,
sembrava che mi dessero caviale. E giù a raccontare la vita durante la guerra,
quando il pane, nerissimo, veniva razionato e l’impossibilità di reperire
zucchero, caffè, per non parlare di carne, latte ed altri generi di prima
necessità. E poi la paura, sempre incombente, per i bombardamenti, l’ansia per
i congiunti ( mentre oggi si ha tempo per scherzare sui congiuntivi) al fronte,
dai quali non si avevano notizie da anni. Sembrava che la vita si fosse
fermata, che non ci fossero altre possibilità, eppure la vita è riesplosa e una
grande moltitudine di persone hanno ottenuto ciò che alcuni decenni prima non
avrebbero osato nemmeno immaginare. Oggi la guerra che stiamo vivendo è di
tutt’altro genere, ma la paura resta lo stesso, i morti pure si contano, il
nemico incombe, ma sembra arrestarsi grazie all’informazione, al senso di
responsabilità della gran parte dei cittadini che si attengono alle
disposizioni delle autorità, sostenuti dalle parole di conforto di un grande
Papa. La guerra richiede sacrifici. Protestare, anzi fare cagnara, per il prolungamento
di qualche settimana di quarantena, mi sembra quanto mai inopportuno.
D’altronde, la paura è la grande nemica di quanti oggi si affannano a
richiedere l’apertura immediata di tutte le attività economiche. Aprire in
queste condizioni è pura follia, non solo per il rischio di ritornare di nuovo
a vedere gli autocarri militari trasportare salme a migliaia verso gli
inceneritori senza nemmeno l’ultimo saluto dei parenti, ma perché tutta questa
gente che scalpita per andare a comprare abiti e gioielli, affollare palestre e
piscine, frequentare bar e ristoranti, fare crociere e sognare vacanze a mare
non mi pare che ci sia. Ho fatto la prova ad intervistare telefonicamente cento
persone, amici che conosco un po’ di tutti i ceti sociali. Mi hanno espresso il
bisogno di ritornare al lavoro, preoccupazione per la ripartenza, delusione per
gli aiuti che ritardano, ansia per i figli lontani, ma tanta paura per il
persistere dell’epidemia, la sensazione che non si stia facendo tutto il
possibile per fermarla. E questa paura incombe sulle scelte future, la scala
delle priorità è completamente rovesciata. Vedo albergatori che protestano,
ristoratori che chiudono e lasciano le chiavi ai sindaci, gioiellieri che
scalpitano. Ma davvero pensano che alla riapertura ci saranno file
interminabili di clienti? Che come per incanto la gente tornerà a spendere come
prima? Sentire lamentele senza proposte alternative credibili e fattibili è
davvero avvilente. E’ vero che nel chiuso della nostra casa ci sentiamo
depressi, sfiduciati, in preda all’angoscia, ma è proprio questo il momento in
cui abbiamo bisogno di sentirci uniti, di affidarci alla scienza e al governo,
quello che abbiamo, anche perché cambiare in queste condizioni è da folli. Ha
detto Papa Francesco: “In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere
disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al
suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle
disposizioni, perché la pandemia non torni”. Ed è questo il problema, fare in
modo che la pandemia non torni, questo è ragionare con la testa.