Voglio dire la mia in merito alla sentenza della Corte
Suprema di Cassazione che ha annullato l’ordinanza con la quale il Tribunale di
Sorveglianza con ordinanza del 20 maggio 2016 rigettava le richieste, presentate
nell'interesse di Salvatore Riina, di differimento dell'esecuzione della pena
ex art. 147, n. 3 cod. pen. e, in subordine, di esecuzione della pena nelle
forme della detenzione domiciliare, ex art. 47- ter,comma 1-ter, legge
26 luglio 1975, n.354. A mio avviso la Cassazione è
andata oltre l’oggetto delle richieste dell’interessato. Introducendo, nella
parte motiva della sentenza, un
elemento che riguarda il merito della questione, competenza questa del
Tribunale di
sorveglianza, non si è limitata a giudicare la legittimità della decisione del
tribunale, ma ha introdotto un problema del tutto nuovo, quello di dovere
garantire ad un ergastolano mafioso "la morte dignitosa", aspetto
questo che riguarda più l'etica e la filosofia piuttosto che il diritto. C'è da
chiedersi, infatti, dov'è contemplato il diritto alla morte dignitosa per un
ergastolano, qual'è la regola che stabilisce intanto cosa si intende per morte
dignitosa e, poi, attraverso quali
azioni è possibile garantire tale diritto. Fino a prova contraria il soggetto è
stato condannato all'ergastolo, cioè ad una pena detentiva a carattere perpetuo
equivalente alla reclusione a vita, ciò significa che fino a quando il recluso
è in vita deve restare in carcere, assistito umanamente, senza tortura, con
tutte le cure del caso, con i conforti religiosi, ma in carcere. Si potrebbe,
al limite, invocare un atto di pietà facendo ricorso ad una richiesta di grazia
per tutti i motivi che possono giustificare un simile provvedimento, ma non è
il caso di Riina, il quale non si è mai pentito dei suoi plurimi crimini, non
si è mai dissociato dall'organizzazione criminale “Cosa Nostra” e non ha
offerto nessuna collaborazione per debellare il sistema criminale del quale
risulta egli stesso ancora il massimo rappresentante in carica e, per giunta,
in piena attività, considerato che lo stesso continua imperterrito a propinare
minacce a destra e a manca. Nè è un soggetto in coma irreversibile, nè in una
condizione nella quale si possa definire incapace di intendere e di volere tali
da potere giustificare l’applicazione dell’art. 147, n. 3 cod. pen. e dell’ex
art. 47- ter,comma 1-ter, legge 26 luglio 1975, n.354. E' interessato da plurime e gravi patologie, e, stante alle argomentazioni dei
giudici della Cassazione, colpito dalla
vecchiaia, inoltre in pericolo di morire per infarto, accidente questo che non
si capisce come potrebbe risultare al riparo in una casa privata in quel di
Bagheria, dove non pare che la sanità sia migliore di quella di Parma. Le
condizioni di assistenza di cui dispone il Riina sono, dunque, dignitose. Gli
manca soltanto un letto più grande per potere stare più comodo, letto che non
entra nell'ambiente ristretto della cella, ma i giudici del tribunale di
sorveglianza hanno ordinato di provvedere in tempi rapidi perché lo stesso
possa beneficiare anche di questo accorgimento. Dunque qual'è il problema? Il
problema forse è dovuto al fatto che anche i "cretini", come rimarcano
illustri giuristi, possano discutere di
giustizia ed entrare nel merito delle sentenze e valutare il lavoro dei
giudici? Il problema è che non siamo più nell'epoca di Lucia Mondella e Renzo
Tramaglino, quando gli avvocati interloquivano con i giudici parlando in latino
e i poveracci, comunque, dovevano "abbozzare"? E' "cretina"
pure la dott.ssa Felicetta Marinelli, il Pubblico Ministero di questo
procedimento che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso? C'è da
chiedersi se tanti "illustri" giuristi, sempre pronti ad elargire
epiteti poco gratificanti verso quanti si sentono tentati da "invasioni di
campo", abbiano letto le carte processuali prima di esprimere giudizi a
vanvera e se non sia opportuno che tanti, anche bravi professionisti,
partecipino alle discussioni con umiltà e, semmai, contribuendo a rendere più
comprensibile ai più problematiche così delicate e complesse. Dobbiamo
constatare, purtroppo, che certa magistratura pensa di sopperire alle
deficienze della politica utilizzando le sentenze come strumenti della
politica, ma la Costituzione vigente affida il compito di fare le leggi, che i
giudici sono chiamati a fare rispettare, al Parlamento. Pertanto se agli
ergastolani spetta di morire in modo dignitoso è un problema che attiene ai
compiti del Parlamento, che deve stabilire prima in che cosa consista tale
diritto e quando ed in che modo possa essere garantito, e non della Cassazione.
Sempre in tema di dignità umana vale la pena ricordare che
dal rapporto annuale dell’Associazione Antigone risulta che il tasso di
affollamento delle carceri italiane è del 108%, che sono 3950 i carcerati senza un posto letto, cioè
che ci sono migliaia di persone che stanno in cella senza un posto regolare, mentre altre 9mila hanno meno di 4 metri
quadri a testa. Siamo ancora lontani da ciò che ci detta l’Europa. Il record
negativo va all’istituto di Latina,
con un tasso di sovraffollamento del
192,1%, seguito da quello di Como (183,3%), di Lodi (176%), di Brescia
(175,1%) e Catania (173,9%). Il diritto
all’affettività, viene sottolineato nelle pagine del dossier, “è solo
parzialmente garantito” nonostante gli obblighi di legge. Solo 2, ad esempio,
le strutture che permettono ai detenuti di fare delle telefonate via skype ai
familiari, cioè una percentuale di attuazione della legge pari all’1%. In 123
carceri è possibile per i familiari prenotare le visite, con una percentuale di
attuazione della legge del 63,7%. In 148 si possono fare colloqui di domenica (attuazione della
legge al 76,6%), mentre in 98 le visite sono sei giorni a settimana (attuazione
della legge al 50,7%). Nel 2015 ci sono stati 7mila episodi di autolesionismo.
Mentre 43 persone si sono tolte la vita dietro le sbarre. Significa, si legge
nel report, “8,2 detenuti ogni 10mila mediamente presenti”. Visti questi dati,
è proprio il caso di perdere tempo ad interrogarsi se è giusto garantire o meno
a Totò u’ curtu di morire dignitosamente?