mercoledì 7 giugno 2017

Dei delitti e delle pene ai tempi di Totò u' curtu



Voglio dire la mia in merito alla sentenza della Corte Suprema di Cassazione che ha annullato l’ordinanza con la quale il Tribunale di Sorveglianza con ordinanza del 20 maggio 2016  rigettava le richieste, presentate nell'interesse di Salvatore Riina, di differimento dell'esecuzione della pena ex art. 147, n. 3 cod. pen. e, in subordine, di esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare, ex art. 47- ter,comma 1-ter, legge 26 luglio 1975, n.354. A mio avviso la Cassazione è andata oltre l’oggetto delle richieste dell’interessato. Introducendo, nella parte motiva della sentenza, un elemento che riguarda il merito della questione, competenza questa del Tribunale di sorveglianza, non si è limitata a giudicare la legittimità della decisione del tribunale, ma ha introdotto un problema del tutto nuovo, quello di dovere garantire ad un ergastolano mafioso "la morte dignitosa", aspetto questo che riguarda più l'etica e la filosofia piuttosto che il diritto. C'è da chiedersi, infatti, dov'è contemplato il diritto alla morte dignitosa per un ergastolano, qual'è la regola che stabilisce intanto cosa si intende per morte dignitosa e,  poi, attraverso quali azioni è possibile garantire tale diritto. Fino a prova contraria il soggetto è stato condannato all'ergastolo, cioè ad una pena detentiva a carattere perpetuo equivalente alla reclusione a vita, ciò significa che fino a quando il recluso è in vita deve restare in carcere, assistito umanamente, senza tortura, con tutte le cure del caso, con i conforti religiosi, ma in carcere. Si potrebbe, al limite, invocare un atto di pietà facendo ricorso ad una richiesta di grazia per tutti i motivi che possono giustificare un simile provvedimento, ma non è il caso di Riina, il quale non si è mai pentito dei suoi plurimi crimini, non si è mai dissociato dall'organizzazione criminale “Cosa Nostra” e non ha offerto nessuna collaborazione per debellare il sistema criminale del quale risulta egli stesso ancora il massimo rappresentante in carica e, per giunta, in piena attività, considerato che lo stesso continua imperterrito a propinare minacce a destra e a manca. Nè è un soggetto in coma irreversibile, nè in una condizione nella quale si possa definire incapace di intendere e di volere tali da potere giustificare l’applicazione dell’art. 147, n. 3 cod. pen. e dell’ex art. 47- ter,comma 1-ter, legge 26 luglio 1975, n.354. E' interessato da plurime e gravi  patologie, e, stante alle argomentazioni dei giudici della Cassazione,  colpito dalla vecchiaia, inoltre in pericolo di morire per infarto, accidente questo che non si capisce come potrebbe risultare al riparo in una casa privata in quel di Bagheria, dove non pare che la sanità sia migliore di quella di Parma. Le condizioni di assistenza di cui dispone il Riina sono, dunque, dignitose. Gli manca soltanto un letto più grande per potere stare più comodo, letto che non entra nell'ambiente ristretto della cella, ma i giudici del tribunale di sorveglianza hanno ordinato di provvedere in tempi rapidi perché lo stesso possa beneficiare anche di questo accorgimento. Dunque qual'è il problema? Il problema forse è dovuto al fatto che anche i "cretini", come rimarcano illustri giuristi,  possano discutere di giustizia ed entrare nel merito delle sentenze e valutare il lavoro dei giudici? Il problema è che non siamo più nell'epoca di Lucia Mondella e Renzo Tramaglino, quando gli avvocati interloquivano con i giudici parlando in latino e i poveracci, comunque, dovevano "abbozzare"? E' "cretina" pure la dott.ssa Felicetta Marinelli, il Pubblico Ministero di questo procedimento che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso? C'è da chiedersi se tanti "illustri" giuristi, sempre pronti ad elargire epiteti poco gratificanti verso quanti si sentono tentati da "invasioni di campo", abbiano letto le carte processuali prima di esprimere giudizi a vanvera e se non sia opportuno che tanti, anche bravi professionisti, partecipino alle discussioni con umiltà e, semmai, contribuendo a rendere più comprensibile ai più problematiche così delicate e complesse. Dobbiamo constatare, purtroppo, che certa magistratura pensa di sopperire alle deficienze della politica utilizzando le sentenze come strumenti della politica, ma la Costituzione vigente affida il compito di fare le leggi, che i giudici sono chiamati a fare rispettare, al Parlamento. Pertanto se agli ergastolani spetta di morire in modo dignitoso è un problema che attiene ai compiti del Parlamento, che deve stabilire prima in che cosa consista tale diritto e quando ed in che modo possa essere garantito, e non della Cassazione.
Sempre in tema di dignità umana vale la pena ricordare che dal rapporto annuale dell’Associazione Antigone risulta che il tasso di affollamento delle carceri italiane è del 108%, che sono 3950 i carcerati senza un posto letto, cioè che ci sono migliaia di persone che stanno in cella senza un posto regolare,  mentre altre 9mila hanno meno di 4 metri quadri a testa. Siamo ancora lontani da ciò che ci detta l’Europa. Il record negativo va all’istituto di Latina, con un tasso di sovraffollamento del 192,1%, seguito da quello di Como (183,3%), di Lodi (176%), di Brescia (175,1%) e Catania (173,9%). Il diritto all’affettività, viene sottolineato nelle pagine del dossier, “è solo parzialmente garantito” nonostante gli obblighi di legge. Solo 2, ad esempio, le strutture che permettono ai detenuti di fare delle telefonate via skype ai familiari, cioè una percentuale di attuazione della legge pari all’1%. In 123 carceri è possibile per i familiari prenotare le visite, con una percentuale di attuazione della legge del 63,7%. In 148 si possono fare colloqui di domenica (attuazione della legge al 76,6%), mentre in 98 le visite sono sei giorni a settimana (attuazione della legge al 50,7%). Nel 2015 ci sono stati 7mila episodi di autolesionismo. Mentre 43 persone si sono tolte la vita dietro le sbarre. Significa, si legge nel report, “8,2 detenuti ogni 10mila mediamente presenti”. Visti questi dati, è proprio il caso di perdere tempo ad interrogarsi se è giusto garantire o meno a Totò u’ curtu di morire dignitosamente?