C’è il rischio che il dibattito attorno al Piano Regolatore
del Comune di Vittoria finisca per dividere le fazioni
contrapposte come i buoni da un lato e i cattivi dall’altro, tra quelli che
vogliono la tutela del territorio e dell’ambiente e quelli che vogliono
cementificare tutto. Ma aldilà dei buoni propositi degli uni e degli altri, è
difficile pensare che interessi occulti non condizionino le fazioni in campo,
anche a loro insaputa. La disciplina urbanistica è una materia difficile e
complessa, caratterizzata da un lato da una farraginosa ragnatela di norme e
prescrizioni solitamente riservata agli addetti ai lavori, cioè i tecnici, dall’altro
da un coacervo di interessi diffusi che vanno dalla rendita di posizione dei
proprietari fondiari, ai costruttori, alle famiglie che devono costruire le
proprie case, agli operai che hanno bisogno di lavorare, all’intermediazione,
all’indotto industriale e commerciale che trae le ragioni delle proprie
finalità produttive proprio dall’attività edile, agli studi professionali, agli
enti pubblici che devono soddisfare il bisogno di infrastrutture e servizi per
la collettività. Una platea vasta, multiforme, caratterizzata e cementata da un’unica
finalità: costruire. C’è poi un’altra platea, meno visibile, ma non meno
importante, composta da quelli che potremmo definire i portatori di interessi
immateriali, pur essi diffusi e presenti in vaste aree della popolazione, che
sono i cultori della cultura, della storia e della tradizione, gli amanti
dell’ambiente e delle sue connotazioni, così come si sono
armonizzati nel tempo in conseguenza dei processi che gli uomini hanno attivato per
garantire il ricambio organico e che, in un’unica parola, potremmo definire la
memoria di un territorio. Il Piano Regolatore, dunque, “regola” una complessa quantità
di interessi e di aspettative, alcuni di carattere speculativo proprio delle
modalità del produrre: l’investimento finanziario, l’uso delle tecnologie, l’uso
della proprietà; altre riguardanti il soddisfacimento di bisogni materiali:
quali costruire case, scuole, strade, ospedali; altri riguardanti la
conservazione di valori storici ed etici attinenti ad uno specifico territorio: gli usi e i costumi, le vestigia,
la specificità dell’ambiente, la tradizione, i monumenti. Le variazioni
attinenti il modo di produrre e il conseguente modificarsi di interessi ed
aspettative, inducono una “tensione” al complesso sistema del Piano. Le
prescrizioni, le norme di attuazione, con il passare del tempo confliggono con
i nuovi attori sociali, quelli che costituiscono i fautori del cambiamento e,
dunque, sono proprio questi nuovi protagonisti che alimentano la pressione
sulla politica, rivendicando l’adeguamento ai nuovi processi socio-economici. Ecco perché
è necessario esaminare lo scenario entro cui matura il tempo per una
revisione del Piano. La prima cosa che ci si chiede è se sono mutati i fattori
produttivi e come è cambiata o come si è modificata la struttura demografica
rispetto ai dati che caratterizzarono il Piano al momento della sua prima elaborazione.
Io non sono in possesso dei dati su cui hanno lavorato i tecnici, ma avendo rivolto
uno sguardo ai dati recenti elaborati dalla Camera di Commercio di Ragusa, ho constatato che è in corso una trasformazione degli assetti fondiari relativi al
sistema agricolo, nel senso che va affermandosi la costituzione di aziende
medio grandi con prevalenza di manodopera salariata con conseguente
restringimento della piccola azienda a conduzione familiare. Questa tendenza ha
sviluppo esponenziale, ai ritmi attuali e con le difficoltà legate al sistema
di commercializzazione, alla concorrenza straniera, alla difficoltà di accesso
al credito, entro i prossimi dieci anni verosimilmente si potrebbe verificare
un completo capovolgimento degli assetti produttivi: sviluppo dell’azienda
capitalistica e scomparsa della piccola azienda contadina. Questa conseguenza
non ha effetti neutrali, giacché il decadere di una massa di non meno di 16.000
piccoli produttori verso il lavoro salariato potrebbe avere costi sociali
ingenti, anche in considerazione del fatto che i salariati locali dovranno
competere con la manodopera immigrata, più disponibile ad accettare forme di
lavoro in nero scarsamente remunerato, perlopiù incentivato dall’ulteriore
processo di flessibilità che sarà varato con il Job Act. Lo scenario potrebbe
far prevedere un processo di impoverimento di quegli strati della popolazione
che sono stati protagonisti delle trasformazioni agrarie avviate mezzo secolo
fa, per cui è necessario pensare da subito ad una riconversione produttiva
capace di salvare migliaia di posti di lavoro. E’ questo un dato che attiene la
revisione del Piano Regolatore? Io penso di si, così come penso che questi
nuovi assetti non possono non interessare il dibattito politico ed il
necessario confronto con le forze sociali: le forze politiche, i sindacati dei lavoratori e le categorie professionali
. Solo dalle scelte e dalle indicazioni che produrrà questo confronto, potranno
scaturire quelle tendenze capaci di orientare le nuove regole urbanistiche che,
a loro volta, dovranno ispirare il nuovo Piano regolatore. Forze lavoro e nuove
tendenze occupazionali. La disoccupazione si attesta attorno al 18%, inferiore
di 5 punti rispetto al dato regionale, ma con una forte connotazione negativa
che riguarda l’occupazione femminile e con maggiore criticità nella fascia di
età compresa tra i 18 e i 40 anni. Si tratta perlopiù di manodopera altamente
qualificata, diplomata e laureata, ma con competenze in gran parte estranee ai
tradizionali processi produttivi legati all’agricoltura, all’industria e all’artigianato.
Gran parte di questi disoccupati aspirano ad un incarico come docente o ad una
carriera nella pubblica amministrazione, o ad esercitare una libera professione. Ma come
abbiamo visto la scuola subisce pesanti ridimensionamenti e ne subirà di altri
a causa del calo demografico, mentre la pubblica amministrazione non sa ancora
come ovviare al dramma del precariato che ha assunto proporzioni non più
sostenibili nell’epoca della cosiddetta spending review. Non da meno è la
condizione degli ordini professionali, non più in grado di sostenere l’urto dei
nuovi arrivati, il numero dei professionisti, infatti, nelle varie
specializzazioni, supera il numero medio dei paesi europei e le categorie,
negli ultimi anni, hanno subito un processo di graduale impoverimento. Si pone
allora il problema della riconversione
delle competenze alla luce di quelle che saranno le direttive entro cui dovrà
muovere il nuovo modello di sviluppo. E’ questo un dato che attiene la
revisione del Piano Regolatore? Io penso di si. Le attività commerciali hanno
subito negli ultimi anni una drammatica inversione di tendenza e l’unico
fenomeno, ancora scarsamente studiato, è costituito dall’apertura di numerosi
esercizi da parte di esercenti cinesi. Di fatto i grandi centri commerciali,
che gravitano sul versante ragusano e modicano, hanno inferto colpi durissimi
al commercio locale e i tentativi di rivitalizzare il centro storico,
considerata l’approssimazione e l’assoluta mancanza di competenze con cui è
stato affrontato, non hanno prodotto gli effetti sperati. Il versante turistico
versa in una condizione ancora più disperata. Nulla di tutto quanto desidera un
turista si trova alla sua portata e di converso abbondano strade sporche e
disseminate di buche, spiagge abbandonate per grande parte dell’anno, verde
pubblico non adeguatamente curato, fumarole velenosissime a bella vista dalla
primavera all’autunno, totale assenza di parcheggi, assenza di collegamenti
pubblici verso il comprensorio limitrofo, discariche abusive in tutto il
territorio, endemica carenza idrica nel periodo estivo, lungomare sporco e
disseminato di contenitori maleodoranti e ridondanti di sacchi di immondizia
sotto il sole cocente, traffico caotico. Il turismo è un settore che non matura
da sé, è opportuno verificare le potenzialità del territorio per poterle
valorizzare ed organizzare sia in termini infrastrutturali sia in termini di
competenze, occorre indagare la domanda alla luce dei grandi processi di
mobilità indotti dalla globalizzazione dell’economia per potere di conseguenza
definire il target dell’offerta, non senza tenere in considerazione che i
villaggi turistici già insediati nella provincia non godono ottima salute, ed
in considerazione del grande patrimonio edilizio esistente lungo la costa che
costituisce la cassaforte dei vittoriesi, nel bene e nel male. E’ questo un
dato che attiene la revisione del Piano Regolatore? Io penso di si. E si
potrebbe continuare: il ruolo dell’aeroporto, l’università e la ricerca
applicata all’agricoltura, le fiere ed il mercato ortofrutticolo, il fenomeno
immigratorio e le politiche per l’integrazione. Ma la questione di fondo rimane:
di quale modello di sviluppo economico si vogliono dotare i vittoriesi? Su
quali forze produttive si vuole puntare? Quali interessi si intendono
privilegiare? Il resto verrà da sé, perché sarà in conseguenza delle scelte che
saranno operate che si potrà stabilire se un milione di metri quadrati di nuova
edificazione potrà essere un’enormità o semplicemente insufficiente, tutto
dipende dallo sviluppo che si intende imprimere al territorio e quali ne
saranno gli attori protagonisti. Per questo motivo ritengo necessario chiudere
definitivamente la partita del PRG e necessario affidare l’incarico ad un nuovo
professionista che, innanzitutto, dovrà essere un urbanista, un qualcuno che si
innamori del nostro territorio come fu il professore Susani, capace di interpretare
i sentimenti e gli umori delle popolazioni locali, farsi cultore della loro
storia, saperne individuare criticità e potenzialità, sapere stimolare il
confronto tra le forze che devono ritornare protagoniste del loro destino ed
essere capace, ancora, di disegnare per farci ancora di più innamorare della
nostra terra e farci ancora una volta sognare. Non basta, dunque, un pezzo di
carta, e per giunta quella sbagliata, su cui opporre numeri a caso su luoghi
magari suggeriti in funzione di interessi lasciati maturare nel tempo nell’indifferenza
generale, appetibili magari a forze estranee al territorio ma colluse con
interessi parassitari locali. Vogliono costruire alberghi, villaggi turistici,
centri di attrazione, mega centri commerciali? Ebbene si facciano avanti
costoro, ora, prima di mettere nero su bianco, facciano vedere la loro fedina
penale e ci dicano da dove proviene il denaro che vogliono investire in questo
territorio la cui integrità fino a poco tempo fa è stata difesa con le unghie e
coi denti. Non mi risulta che con le zucchine e il pomodoro, con la professione
o con l’impiego siano cresciute a Vittoria cotante ricchezze da investire in
cotanta abbondanza di territorio. Tra un nuovo sbarco di turchi saraceni e la
povertà, per me e i miei figli continuo a preferire una povertà vissuta con
piena dignità, a costo di essere considerati babbi per altri quattro secoli,
senza contare ancora che siamo capaci di quella diversità, di quel geniaccio
che al momento opportuno ci rende capaci di andare oltre qualunque contingenza,
ne sono testimonianza quei ragazzi che sanno portare con forza intelligenza e determinazione il nome di
Vittoria nel mondo, e le ragazze che con tanta tenacia stanno riscoprendo la
campagna e tutte le sue potenzialità. Il tempo dell’avventura è finito.
giovedì 17 aprile 2014
Un nuovo piano regolatore per un nuovo sviluppo sostenibile
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lunedì 14 aprile 2014
L'Ato, quella foglia di fico che copre le vergogne dei sindaci
E’ una grave mistificazione della
realtà addebitare all’Ato Ambiente la responsabilità della grave situazione in
cui versano le discariche, facendo credere che l’Ato sia un carrozzone della
regione siciliana. L’Ato S.p.A è una società per azioni la cui composizione
sociale è composta da tutti i comuni della provincia rappresentati
nell’assemblea dai rispettivi sindaci. La maggioranza dei sindaci non
ha mai conferito all’Ato la gestione del ciclo integrato dei rifiuti,
preferendo la gestione diretta del servizio per motivi facilmente intuibili con
gravi ripercussioni sia per quanto riguarda l’efficienza del servizio sia per i
costi elevati che gravano interamente sui bilanci delle famiglie. La gestione
delle discariche, invece, è stata affidata all’Ato, ma senza pagarne i relativi
costi accumulando un debito verso la Società che complessivamente supera i 30
milioni di euro, debito di cui si dovranno fare carico i cittadini attraverso l’aumento
sconsiderato delle tariffe. La grave situazione delle discariche fu posta dal
Collegio dei liquidatori all’ordine del
giorno dell’assemblea dei soci del 19
ottobre 2011, chiedendo con accenti drammatici ai soci di fare fronte ai costi
della messa in sicurezza, come da rispettivi contratti, ma i sindaci presenti, più
sensibili alle vicende dei 19 co.co.co da sistemare in via definitiva, invece
di impegnarsi concretamente per il risanamento delle discariche decisero di rinviare
il problema con la scusa di chiedere un improbabile e mai realizzato intervento
della regione. Negando la verità dei fatti il sindaco Nicosia non solo rende un
cattivo servizio alla collettività che rappresenta, ma contribuisce ad
accrescere il senso di sfiducia dei cittadini verso le istituzioni con grave
pregiudizio della tenuta democratica della città.
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