E’ la più bella Costituzione del
mondo. Lo penso e non finirò mai di pensarlo, perché non esiste una
rappresentazione così autentica della democrazia, una carta che racchiude i
pensieri più alti cui abbia mai aspirato l’umanità. Le idee cristiane,
socialiste e liberali costituiscono i fondamenti della carta costituzionale
italiana e su quelle idee si fondano le modalità con cui gli italiani intendono
praticare la partecipazione alla vita politica del Paese. Come ha detto il
professore Zagrebelski nel dibattito televisivo che lo ha visto contrapposto al
presidente del consiglio Renzi, la democrazia come enunciata nella Carta
Costituzionale è una forma inclusiva di partecipazione al governo del Paese,
una modalità che non esclude, anzi, attraverso il decentramento e le varie
forme di articolazione delle istituzioni governative, tende a favorire la più
ampia partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. L’idea che la
rappresentanza politica che ottiene il maggiore
risultato elettorale è deputata a decidere per tutti, anche se per un
periodo di tempo circoscritto, contrasta con l’impianto costituzionale
italiano. Il problema non è nuovo se Alexis de Toqueville, fra le figure più
apprezzate fra quanti hanno avuto modo di valutare i comportamenti democratici
degli individui, ha evidenziato che la democrazia non è solo una forma di
governo, ma anche uno stato sociale che ricomprende in sé il costume e la
stessa antropologia del modo di essere democratici, perché si fonda sul
presupposto dell’uguaglianza delle condizioni e dell’accoglimento delle
differenze come valore.
Renzi pone il problema della
necessità di pervenire ad un impianto costituzionale capace di determinare un’accelerazione
dell’azione di governo ed imputa all’impalcatura
costituzionale, imperniata sul bicameralismo perfetto, i ritardi nella
formazione delle leggi. Rivendica, pertanto, il diritto della maggioranza degli
elettori di decidere per l’insieme dei cittadini, sottovalutando il punto di
vista della minoranza che, in alcuni casi, può essere persino più autorevole e
forse anche più adeguato in determinati
contesti. Per raggiungere questo obiettivo, connette la riforma costituzionale
con la nuova legge elettorale in modo che nella nuova Camera dei deputati
riformata la forza politica che ottiene il 40% dei voti, o che vince il turno
di ballottaggio, ottiene la maggioranza assoluta con 340 seggi su 617. Renzi ha
maturato questo orientamento all’indomani delle elezioni europee, cioè dopo che
il PD ha vinto le elezioni con il 40,08% dei suffragi, pensando di guadagnare
lo stesso risultato alle elezioni politiche, convinto che l’azione riformatrice
del suo governo avrebbe potuto non solo consolidare ma eventualmente estendere
tale risultato. Anche il successo delle elezioni regionali, governate a
maggioranza dal centrosinistra, ha contribuito ad ipotizzare una maggioranza
significativa del centrosinistra a guida renziana nel nuovo senato, stante che
i nuovi senatori saranno espressione delle autonomie locali. Era talmente
sicuro di potere raggiungere questo risultato che non ha mancato di legare il
suo destino politico all’esito referendario. Ma i risultati dell’azione di
governo su cui aveva molto contato, purtroppo non sono confortanti per il primo
ministro. Gli esiti del Job Act sono fortemente negativi: diminuiscono gli occupati, aumenta la
disoccupazione giovanile, cresce la precarietà (testimoniata da una gigantesca
crescita dei voucher). Anche gli effetti della politica economica sono
deludenti: il PIL non cresce, aumenta il
divario Nord-Sud, il sistema bancario risulta sempre più incapace di favorire gli
investimenti, i consumi consolidano un dato negativo. A questo punto il premier si trova davanti ad uno scenario nel
quale è difficile conseguire il risultato sperato, i sondaggi ci dicono di un
testa a testa tra PD e Movimento 5stelle. Senza l’intervento dell’Europa per
rendere più flessibili i conti dello Stato, cioè più debito pubblico, l’idea di
potere ottenere consenso attraverso la distribuzione di altri bonus si infrange
sul niet categorico di Angela Merkel. In definitiva il sarto Renzi ha lavorato
per la vigna del Re, imbastendo un abito su misura per Grillo, il quale, stante
ai sondaggi, molto realisticamente potrebbe essere il futuro primo ministro.
Non voglio soffermarmi oltre sulle conseguenze di questa eventualità, ma soltanto
immaginando i possibili scenari post referendari si può cogliere la delicatezza
della materia riguardante la riforma costituzionale ed il varo della nuova
legge elettorale.
Non vi è nessun dubbio che da
quando in occidente, sull’onda della crisi petrolifera, hanno avuto il
sopravvento le idee della Tacher e di Reagan, generatrici di politiche fortemente
liberiste, è aumentato il fastidio per i processi democratici, privilegiando la
ricerca di soluzioni capaci di consentire la rapidità delle decisioni. Tutto
ciò non può non interessare le modalità di funzionamento delle istituzioni governative,
le quali sempre più dipendono da ristretti circoli economici e finanziari che
agiscono come sovrastrutture all’interno delle istituzioni quali la Commissione
europea e il Fondo Monetario Internazionale. Non a caso le nostre
rappresentanze politiche sostengono a piè sospinto che le cosiddette riforme
sono richieste dalle istituzioni europee ed internazionali. Occorrono al turbo
capitalismo istituzioni nazionali a sovranità limitata, governate da politici
che devono decidere in fretta senza perdere tempo nei lacci e laccioli della
democrazia rappresentativa, pretendendo una democrazia economica al posto di
quella politica, maggioranze ottenute da piccole lobby capace di attrarre
consenso in virtù di grandi disponibilità finanziarie per catturare l’attenzione
di masse sempre più disorientate e private di poteri reali di decisione. Tutto
ciò deve fare riflettere sull’opportunità di decidere, nell’attuale contesto
mondiale, su modifiche così importanti all’assetto istituzionale del Paese e delle modalità con cui si perviene alla
formazione della rappresentanza politica. La Globalizzazione è ancora un
processo non concluso, dominato da ristretti e potenti gruppi d’interesse,
mentre interi popoli sono interessati da nuovi ed inimmaginabili scenari, tra venti
di guerra e conflitti etnici. La tendenza è quella di erigere muri attorno ai
privilegi di una ristretta casta, della quale non fanno più parte i ceti medi, costringendo
il resto del mondo, obbligato in una estrema periferia materiale e culturale, a
sopravvivere in un nuovo medioevo tecnologico. E’ compito della politica individuare strategie in grado di invertire la
tendenza, e questo impegno non può che essere assunto da quelle forze
sinceramente ispirate da ideali democratici. Occorre ricondurre tutte le
periferie del mondo al centro, ridando dignità all’uomo rendendolo
protagonista del proprio destino. Una rappresentazione icastica di questa prospettiva
l’ha tracciata la Chiesa Cattolica nel momento in cui ha chiamato sul soglio
pontificio un uomo proveniente dall’estrema periferia del mondo, stravolgendo una
prassi che per millenni ha visto prevalere i candidati provenienti dalla Curia
romana, e tutto ciò spiega che lo stesso possono fare le istituzioni civili
semplicemente cambiando il loro punto di vista. Ed il mio punto di vista, per
le ragioni così enunciate, è votare NO
al prossimo referendum costituzionale.