domenica 24 giugno 2012

PRG e dintorni, prove pratiche di eutanasia del centrosinistra


Assenti tutti gli altri, a Vittoria gli unici ad occupare la scena politica in questo caldo inizio dell’estate sono i rappresentanti del centro-sinistra, impegnati in una discussione estenuante sulla variante al Piano Regolatore Generale. SEL attacca, l’amministrazione comunale difende il progetto di variante, ma non è un coro di consensi se persino gli imprenditori della CNA hanno espresso forti perplessità sullo strumento proposto dai tecnici incaricati. Mi chiedo a chi giova uno scontro tutto a sinistra, forse si tratta di un “modo intelligente” di farsi del male, prove pratiche per essere sbaragliati alle prossime elezioni. Un Piano Regolatore Generale è uno strumento che pianifica lo sviluppo di un territorio ed è chiaro che ruota attorno a tanti interessi e crea tante aspettative. Il Sindaco ha dichiarato che finora il Piano Regolatore ha “ingessato” lo sviluppo della città, mentre la proposta di nuova variante mira a rilanciare l’economia in un momento di forte crisi. Credo che il problema oggi consista nel verificare che ciò corrisponda al vero. Secondo i dati forniti dalla stessa relazione di accompagnamento alla variante di piano presentata dai tecnici incaricati, nel decennio 1997-2007 sono state rilasciate a Vittoria oltre 3.500 tra licenze, autorizzazioni e DIA e sono state costruiti circa un 1.250.000 metri cubi, in una città dove l’espansione demografica si attestata attorno allo zero. La città consta di un patrimonio edilizio estremamente sottoutilizzato e sconta, grazie alla crisi, una pesante sottostima del suo valore effettivo, mentre le aree previste dal Piano vigente per nuova edificazione sono ampiamente sottoutilizzate, soprattutto lungo la dorsale costiera e particolarmente quelle destinate alla diretta usufruizione del mare. Pertanto non sembra che il Piano vigente abbia ingessato lo sviluppo, semmai è mancata una corretta e previgente gestione del territorio, abbandonato da sempre a scorrerie speculative di vario genere e da un incessante perdurare del fenomeno dell’abusivismo edilizio. Voglio ricordare che alla fine della mia prima sindacatura, agli inizi del 1978, con il Programma di Fabbricazione già in fase di approvazione, la Riviera Gela a Scoglitti si fermava all’altezza dell’attuale Hotel Mida e a Cammarana insisteva solo un’abitazione sulla quale pendeva una mia ordinanza di demolizione,  il resto è tutt’altra storia. La nuova variante al Piano, secondo una lettura dei dati che accompagnano la cartografia, prevede per Vittoria, un’estensione urbana fino al confine della prevista autostrada Gela-Siracusa e verosimilmente potrebbero essere costruiti oltre 5.000 nuovi appartamenti. Ma il dato più impressionante è quello relativo alla costa dove il nuovo regime urbanistico potrebbe consentire la costruzione di quasi 10.000 nuovi insediamenti con un possibile incremento della popolazione di oltre 30.000 unità. La città, così, sembra ripiombare all’epoca del Piano elaborato dagli architetti Ugo e Verace, quando le più ottimistiche ipotesi di sviluppo indussero a pianificare sventramenti e nuove estensioni del perimetro urbano, incompatibili con il sistema produttivo locale e con gli stili di vita degli abitanti vittoriesi. Oggi, come allora, i progettisti non hanno tenuto conto dello sviluppo storico della città. Vittoria, fin dalla sua fondazione,  è stata incessantemente terra di coloni e, già alla fine dell’ottocento, Rosario Cancellieri,  nel definire il nuovo assetto urbano, faceva esplicito riferimento alla necessità di contenere l’espansione a macchia d’olio a causa dei costi eccessivi posti a carico della comunità per dotare di servizi e strutture le nuove aree di espansione. E Filippo Traina, cinquant’anni dopo, nel 1949, nel predisporre il bando nazionale per il conferimento dell’incarico per la redazione del nuovo Piano Regolatore, alla stregua delle città più importanti d’Italia, ribadiva la necessità di fermare l’espandersi dei quartieri periferici, proponendo, addirittura, la possibilità di costruire qualche piano in più nel perimetro urbano consolidato al fine di risparmiare sugli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria. In modo ancora più drammatico il problema si pose all’attenzione del  Professore Susani, il quale dovette affrontare l’espansione disordinata dei nuovi quartieri periferici.




Non c’è dubbio che Vittoria deve mirare a progettare il proprio futuro, anche in previsione dell’attesa nuova rete infrastrutturale, tra cui l’aeroporto di Comiso, ma le premesse da cui muovere per disegnare il nuovo sviluppo non possono non tenere in considerazione i profondi rivolgimenti che oggi stanno condizionando le ipotesi di crescita delle Nazioni europee, il decremento che assume viepiù il valore della proprietà immobiliare e della rendita fondiaria nel nuovo scenario economico mondiale, ove gli investitori sembrano più orientati a scommettere più sulla proprietà intellettuale che su quella materiale. Verosimilmente ha più attrattiva di investimento il Centro Ricerche di Contrada Perciata che non le migliaia di ettari di terra coltivata a primaticci. Così, anche per quanto riguarda l’ipotesi di un rilancio turistico non si può realisticamente puntare su nuova cementificazione, perché la città detiene un’elevata volumetria sulla costa ed aree di espansione sottoutilizzate e potenzialmente disponibili per il recupero urbano, tant’è che in molti osservatori competenti viene assunta come impropria l’idea di dare corso ad una variante del Piano Regolatore Generale, preferendo tutt’al più considerare  una revisione dell’attuale PRG con l’introduzione di un metodo perequativo definito a priori e contenuto entro le attuali aree d’espansione.  Ma ci sono altri aspetti che necessitano un approfondimento.  I dati dei flussi turistici in provincia di Ragusa forniti dalla Camera di Commercio indicano il consolidamento di un flusso turistico in espansione proveniente per l’80% dalla Francia, dalla Germania e dall’Inghilterra. Si tratta di turisti che privilegiano gli alberghi a tre stelle, il bad & breakfast e il campeggio, mentre il turismo elitario dei grandi alberghi e quello da diporto finora non viaggiano verso i risultati sperati. Ciò costituisce un’opportunità per il territorio ibleo a patto che vengano sfruttate adeguatamente talune sue peculiarità: il paesaggio, il mare, l’architettura. Violentare ulteriormente il paesaggio con un’ulteriore cementificazione significa svilire quel poco di appeal suscitato dagli episodi televisivi del commissario Montalbano ponendosi, così, in conflitto con le nuove sensibilità ambientaliste, sempre più pervasive non solo negli ambienti giovanili. Ma significa pure svilire il valore del patrimonio edilizio esistente, un patrimonio diffuso, popolare, che adeguatamente supportato con servizi ed aree attrezzate, può trasformarsi in offerta ricettiva per intercettare quel turismo straniero di tipo popolare che è tipico della riviera romagnola e che più si adatta alla natura delle vocazioni imprenditoriali locali che permangono di tipo familiare sparse nel territorio. Concludendo, io sono convinto che c’è molto materiale per discutere ed approfondire questa problematica urbanistica e credo che il nuovo centro-sinistra debba trovare il “modo intelligente” per fare del bene a sé ma, soprattutto, ai cittadini che si intendono rappresentare, individuando modi e tempi per concertare con le forze produttive e le rappresentanze del mondo civile e sindacale la via più giusta per favorire un nuovo processo di crescita anche attraverso lo strumento urbanistico. Tra l’altro sono occorsi sette anni per elaborare questa variante, non è la fine del mondo attendere qualche mese in più per definire un prodotto più confacente alle aspettative dei cittadini e, se necessario, anche con il supporto di altri specialisti.   Attestarsi ad una difesa d’ufficio di ciò che è stato prodotto dai tecnici  mi sembra piuttosto “tranchant”, come mi sembra d’altri tempi il “serrare i ranghi” attorno all’amministrazione comunale in difesa della variante di Piano, perché svilisce il ruolo del Presidente del Consiglio Comunale e del Segretario del PD i quali, in queste circostanze, come forze espressione della magioranza, dovrebbero esercitare autorevolmente un ruolo propositivo per sbloccare una situazione che non fa bene né al centro-sinistra, né alla città.

sabato 16 giugno 2012

Il Piano Regolatore Generale tra passato, presente e futuro.



Il Piano Regolatore Generale è un progetto di Città. Con l’avvento della Rivoluzione Industriale, che ha prodotto l’esodo di milioni di contadini dalle campagne verso le aree dove sorgevano le industrie, questo strumento è diventato importante per evitare il caos e disciplinare la convivenza tra gli uomini e le loro attività. Il PRG è uno strumento sospeso tra passato, presente e futuro; presuppone, perciò, un metodo di indagine volto a comprendere le dinamiche sociali che sono state alla base dell’evoluzione sociale ed economica di una determinata comunità, ne interpreta le criticità e costruisce il futuro di quella comunità, anche alla luce di ciò che accade nel mondo, cercando di anticipare tendenze, esperienze; in questo senso un PRG è anche profetico per la collettività. Quando nel 1975 ho avuto l’opportunità di conferire l’incarico di redigere il nuovo PRG di Vittoria al Professore Giuseppe Susani, sono rimasto colpito dalla metodologia che intendeva seguire per progettare il nuovo strumento urbanistico. Innanzitutto parlare con la gente per renderla partecipe, incontrare le categorie produttive per coglierne progetti e prospettive di sviluppo, riferirsi al mondo della cultura e dei giovani perché il futuro gli apparteneva. Parlare con i cittadini era per Susani fondamentale. Fino ad allora l’urbanistica era stata una disciplina per addetti ai lavori: politici, tecnici, funzionari pubblici,  speculatori e proprietari fondiari. L’oggetto era come fare soldi a palate senza nessun rischio. D’altra parte, a Vittoria, il PRG redatto dagli architetti Ugo e Verace, era stato emblematico di un certo modo di procedere. Infatti aveva previsto sventramenti in gran parte della città e del suo centro storico, strade larghissime, grattacieli. La filosofia che lo ispirava si incentrava sul nuovo sviluppo dell’agricoltura che come un nuovo eldorado si accingeva a cambiare la vita dei vittoriesi, insomma si sognava la California.  Un piano regolatore, quello di Ugo e Varace, che per lunghi anni era rimasto “in itinere”, sospeso tra Vittoria e Palermo, veniva continuamente bocciato e riproposto e, nel frattempo, intere aree della città venivano lottizzate abusivamente, il Forcone e il Talafuni, dove nuclei di famiglie provenienti dalle vicine Gela e Niscemi, oltre ai braccianti senza terra locali,  trovavano alloggio in case costruite senza alcun criterio se non quello di soddisfare l’esigenza dell’abitare a costi accessibili, con le cambiali. Alla prima riunione del Consiglio Comunale durante la quale furono spiegate le ragioni per cui era stato deciso di chiudere con il piano Ugo e Verace e conferire il nuovo incarico all’equipe del Prof. Susani, uno degli speculatori più in vista della città, presente in aula, mi apostrofò così: “Sinnucu, vidissi ca u Pianu Regulaturi a Vittoria l’ammu fattu nuiatri, e puri li casi popolari ammu fattu. Vuiatri politici sapiti fari sulu paroli”. Si riferiva all’epoca in cui erano sorti quartieri senza strade asfaltate, senz’acqua e fognatura, senza scuole in un brutto momento per la città che aveva visto la sinistra, dopo tanti anni al governo, finire all’opposizione. Con il conferimento dell’incarico all’equipe del Professore Susani, Vittoria, dove nel frattempo ritornava al governo una giunta di sinistra, intraprendeva un nuovo cammino per avviare il risanamento dell’abusivismo e progettare servizi e infrastrutture per il suo sviluppo. Quando Susani parlava di Vittoria suscitava nell’ascoltatore un’emozione, in un certo senso ci rendeva protagonisti, ci riconsegnò l’orgoglio di essere protagonisti e ci fece prendere coscienza della nostra “diversità”. Il nuovo progetto di città si propose, dunque,  di valorizzare quell’ordine naturale che aveva contraddistinto lo sviluppo urbano fin dalle origini, adeguando il senso dell’abitare dei vittoriesi al nuovo ciclo di sviluppo, ma senza stravolgimenti, soltanto reinterpretando il presente apprendendo dal passato stili e modi di vita che prima erano stati della “civiltà del vino” e che adesso si riferivano alla “civiltà delle serre”, ma che sostanzialmente si incentravano sull’affermazione della piccola e media azienda agricola e sulle attività industriali e artigianali che ruotavano attorno allo sviluppo dell’agricoltura e dell’edilizia. Era forte in Susani il concetto di comunità, per cui anche la nuova edilizia che avrebbe dovuto soddisfare i bisogni abitativi dei ceti urbani popolari era stata “disegnata” secondo una logica di condivisione di spazi aperti e servizi per giovani ed anziani, né è testimonianza l’area di Fanello che non ha trovato, nel prosieguo, per incuria, il naturale sviluppo e consolidamento infrastrutturale risultando, così, un ghetto isolato e abbandonato. Per Susani l’agricoltura vittoriese aveva subito processi storici ciclici, ne è testimonianza un avvicendamento colturale che va dalla coltura dei cereali a quella del vino, dagli ortaggi in pieno campo ai primaticci delle serre e dei fiori, ma aveva anche “previsto” l’esaurimento dei ciclo delle colture in serra, la scolarizzazione di massa indotta dalle nuove disponibilità economiche, l’arrivo di altri immigrati attratti dal nuovo benessere economico e sociale. Per questo motivo ci invitava a riflettere su altre possibili direttrici di sviluppo, ma non alternative a quello agricolo bensì complementari, muovendo dall’assunto che i vittoriesi, lungo la loro storia, avevano sempre fatto riferimento alle risorse naturali, l’avevano dimostrato quando era stato rinvenuto il petrolio a Buonincontro in territorio di Vittoria allorchè, di fronte all’esultanza di taluni che gridavano all’”oro nero”, avevano scelto l’”oro verde”, dimostrando, ancora una volta, di essere un popolo lungimirante.
Susani pensava al centro storico e al mare come risorsa, la cui usufruizione doveva integrare il reddito agricolo e, nel contempo, doveva dare sbocco occupazionale ad una nuova generazione di giovani che avevano scelto di studiare e di specializzarsi. Né risultò uno studio della costa e un disegno di sfruttamento che trascendeva, a tratti, nella maniacalità.  Durante l’elaborazione del Piano mi disse: “ Guarda che ho disegnato le specie botaniche più adatte al clima di questo territorio, bisogna fare rivivere la flora e la fauna tipiche delle dune sabbiose”.
Ho letto la relazione di accompagnamento della variante al PRG in discussione in questi giorni e debbo dire che non ho provato nessuna emozione. Sono passati più di trent’anni dagli studi di Susani sul territorio di Vittoria. Sono stati anni che hanno visto il mondo cambiare molto velocemente. Prospettive economiche, stili di vita, rivolgimenti sociali, avrebbero dovuto indurre i nuovi progettisti ad una riflessione più attenta ed accurata. Partecipazione non significa notificare ai cittadini delle scelte che sono state già compiute, ma ascoltare bisogni, aspettative, suggerimenti, in modo da pervenire ad un risultato condiviso. Il Piano regolatore di una città e come una patente di guida collettiva per navigare con consapevolezza lungo un percorso di sviluppo economico e sociale, se la patente ce l’hanno solo alcuni i risultati sono solo per loro, agli altri resta soltanto il “privilegio” di prendere la “multa”, ovvero di subire le scelte di una ristretta cerchia di affaristi secondo la logica del “munnu ‘a statu e munnu è”. L’unica novità, che a me suscita non poche perplessità, è data dall’introduzione del meccanismo della perequazione. Si tratta di un metodo che ha solo pochi e molto discutibili riferimenti normativi, che nei fatti non prevede e non decide nulla, ma semplicemente rinvia a valutazioni che saranno fatte in futuro dal Sindaco in accordo con i privati ai quali sarà chiesto di rinunciare ad una parte delle loro proprietà per vedere riconosciuto il cosiddetto “ius edificandi”. Milioni di metri quadrati lasciati al “libero arbitrio” di amministratori e affaristi di ogni genere, tanto da definire il Piano, fin dalle premesse della relazione di accompagnamento, il “Piano del Sindaco”. Così, un domani,  potremmo ritrovarci con un nuovo Vito Ciancimino e la città aperta al “sacco” cementifero. Gli attuali amministratori, giustamente, fanno osservare che l’attuale vincolo opposto sulle aree da destinare ad opere e servizi pubblici, non resiste più, prima perché la legge ha imposto vincoli per periodi più ristretti, poi perché la pubblica amministrazione non ha risorse per procedere alle espropriazioni con la conseguente paralisi nella realizzazione delle opere pubbliche. Tutto vero, e la perequazione, in paradiso, potrebbe essere la soluzione più idonea stante che tra i Santi si presume l’assenza di qualunque tentativo di truffa o di speculazione. A meno che non si riescano ad invertire i termini della questione: perequazione si, ma quale? Perequazione a priori o perequazione a posteriore? La perequazione per il “Piano del Sindaco” o la perequazione per il “Piano dei Cittadini”? Una perequazione a priori significherebbe decidere da oggi, con il contributo dei cittadini e delle forze sociali, cosa costruire, dove costruire, a quali condizioni costruire, aprendo davvero una stagione di partecipazione e di condivisione delle scelte, con un’operazione trasparenza, ricevendone il vantaggio di disporre gratuitamente di aree per servizi e infrastrutture e definendo da subito limiti e condizioni entro cui i proprietari terrieri potranno ottenere il diritto all’edificazione. Una perequazione a posteriori, invece, significa definire con un colpo di matita quali sono le aree oggetto della perequazione ( in pratica quasi tutta la città così non si nega niente a nessuno) e rinviare il tutto a dopo, a probabili o improbabili “affari”, a seconda delle forze che sapranno influenzare le scelte amministrative, che possono anche essere di tipo trasversale secondo il principio “picca picca, ma ci nn’è pi tutti”. C’è un altro aspetto di questa vicenda che non convince. La proprietà fondiaria a Vittoria ha subito negli anni una notevole parcellizzazione per cui, a differenza di altri contesti, qui ci troviamo di fronte ad una moltitudine di piccoli proprietari. Ora l’istituto della perequazione prevede che i proprietari interessati dalle aree di nuova espansione debbono accordarsi circa i criteri di ripartizione degli oneri e dei supposti profitti in modo da realizzare l’equa ripartizione che è la base dell’istituendo metodo perequativo. Ma è possibile immaginare come possa realizzarsi tale accordo, quando è risaputo che nemmeno in un condominio di 10 persone a volte si riesce a trovare l’accordo per sostituire una caldaia?

Un altro problema riguarda l’assetto dell’economia agraria, oggi in fase di riconversione produttiva e commerciale, di cui si fa solo qualche accenno. I progettisti, infatti, sembrano rapiti dalla prospettiva aeroportuale e dalle conseguenti relazioni logistiche. Ma ancora nessuno ci ha spiegato, nemmeno l’On. Digiacomo, chi sono i passeggeri attesi dopo lo startup dell’aeroporto, che ci faranno a Vittoria, dove saranno alloggiati e di quali servizi usufruiranno. Per finire vorrei parlare dei fantasmi che girano per Vittoria e dei quali i progettisti, giustamente, non si sono accorti, cioè degli oltre ottomila cittadini extracomunitari che a Vittoria lavorano, mandano i figli a scuola, aprono attività commerciali, costituiscono società ma che nessuno vede e sente, oppure si vedono o si sentono quando il Presidente della Repubblica scopre Samar e le conferisce il titolo di Alfiere della Repubblica, cosa della quale la città di Vittoria può ritenersi fiera, ma a condizione di sapere dare una logica e conseguente prospettiva di civile integrazione a questi suoi nuovi figli.
Un Piano Regolatore Generale da rifare, e presto.

Intervista sul PRG di Vittoria su E20Sicilia


 
 
 
 
 
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