domenica 14 giugno 2020

Pensare il futuro, una generazione alla prova.


Di tutto si parla in questi terribili giorni, di economia, di salute, soprattutto di soldi. Poca attenzione è riservata dai media ai giovani, agli anziani, alla società che cambia velocemente. Di questo mi voglio occupare con questa riflessione. Il mio pensiero è rivolto subito ai giovani, alla Generazione C, quella del Coronavirus, per intenderci, che segue i Millenials, la generazione perduta. Sono i giovani cresciuti nel corso della recessione economica più terribile dal dopoguerra ad oggi; entrano a far parte di un Paese con il debito pubblico più alto al Mondo e, quindi, sono già carichi di un fardello che nessuna generazione aveva dovuto sopportare prima di loro. Una generazione bloccata non solo dai debiti, ma senza nessuna realistica prospettiva di fare carriera, e non significa nulla essere un medico in una sanità depauperata da anni di scandali e privatizzazioni selvagge; essere un ingegnere in assenza di investimenti infrastrutturali; essere imprenditori senza un piano di sviluppo economico; essere un ricercatore senza finanziamenti alla ricerca. Oggi quando i giovani affrontano il problema del lavoro si devono confrontare con il reddito di cittadinanza, nella prospettiva di trovarsi in una condizione di assistenza permanente, poco sopra della soglia di sopravvivenza, perché il lavoro semplicemente non c’è ed è pure difficile inventarlo. Perché, come sostiene l’economista Jeremy Rifkin, la tecnologia taglia i posti di lavoro che non ricrescono più, come gli alberi della foresta amazzonica. Un destino tragico, quello di passare alla storia come la generazione più povera seguita ai loro genitori, quella con meno diritti e più precarietà, quella che si dovrà fare carico di rimborsare l’enorme debito che ci accingiamo a negoziare per uscire indenni dalla pandemia, la generazione che ha studiato più di qualunque altra per ambire ad un lavoro di pizzaiolo, netturbino o rider, il fattorino pedalante che mentre consegna cibo scadente a domicilio, inala quintali di polveri sottili nelle città metropolitane, ciò che gli garantisce più vulnerabilità agli effetti del Covid-19 rispetto ad un giovane, altrettanto morto di fame, che vive in Africa. E mentre l’economia dei consumi si ferma a causa dell’epidemia, per una strana congiunzione astrale, questi giovani lavorano di meno e sono più esposti al rischio di contrarre la malattia. E parliamo dei giovani che per natura dovrebbero essere i più avvantaggiati, perché dei vecchi sembra non importare più a nessuno. Rottamati. E come rottami, in silenzio, la malattia ne fa scarti da smaltire di notte, a umma a umma, con discrezione, senza un cenno di commiato, esclusi da una forma qualsiasi di pietas, presto dimenticati. Numeri che non fanno impressione a nessuno, 100, mille, diecimila, centomila, numeri e non più storie. Sono lontani ormai i tempi in cui le storie dei vecchi coltivavano la mente di noi ragazzi. Oggi i nonni non esistono più nemmeno nelle fiabe per i più piccoli. Le loro fantasie sono permeate da giganti tecnologici, macchine parlanti, niente più principi né principesse, niente più Pinocchio, non c’è Coretti e nemmeno Precossi, i personaggi che riuscivano a commuovere quelli come me nel mentre ci mettevano a contatto con una realtà fatta di sacrifici, di emozioni, di fatica, ma anche di sentimenti quali l’amicizia, l’amore, la condivisione.  E allora? Allora è chiaro che bisogna ricominciare. Da dove? Ricominciare da noi stessi, con un’opera di demolizione, per rimodellare quell’Io gigantesco che abbiamo fatto crescere dentro di noi e trovare nuovo spazio per tutto ciò che è stato perso. Scopriremo così l’altro che non abbiamo più voluto vedere, dagli affetti familiari, a partire dagli anziani, al tempo da dedicare ai nostri figli. Ricominciare a guardare la nostra comunità predisponendoci all’accoglienza e all’ascolto dei bisogni individuali e collettivi, ripensando il nostro sviluppo rifuggendo dall’individualismo inconcludente degli ultimi anni per avviare una fase di ricostituzione solidale delle categorie produttive. Pensare globale e agire locale, può essere una parola d’ordine per promuovere nuove  opportunità per la nostra economia, per il nostro territorio. La nostra è la storia di un popolo che si è saputo organizzare. Intuito, tenacia, intelligenza, coraggio, sono ingredienti fondamentali per affrontare un nuovo processo di cambiamento. Per noi la resilienza è non piegarci agli effetti dell’emergenza, ma trarne opportunità per ripartire. Abbiamo esperienza, coltiviamo saperi oltre a cetrioli e pomodori, abbiamo risorse materiali, ci dobbiamo organizzare. Partiamo dal Comune. Il Comune ha oggi l’opportunità storica di assumere su di sé il compito di sostenere i propri cittadini  nelle varie articolazioni produttive, intellettive, sociali, entro la nuova dimensione globale per competere empaticamente. Per il raggiungimento di questo obiettivo la nuova istituzione dovrà necessariamente ristrutturarsi secondo logiche organizzative adeguate alle nuove esigenze. Attardarsi nella riorganizzazione degli uffici e dei servizi estende ulteriormente il gap che divide  le aree più depresse dalle aree più sviluppate. Nell’era della conoscenza,  una nuova leva di impiegati, espressione delle nuove generazioni, dovrà essere capace di progettare e realizzare servizi capaci di rispondere ai nuovi bisogni del territorio. Molti uffici, ormai residui del vecchio Stato ottocentesco, preposti più al controllo sociale che non alla promozione delle libere attività umane, vanno soppressi o accorpati, per dare spazio ad uffici in grado di promuovere più capacità organizzativa, nuove forme associative, idee di sviluppo, cooperazione con altri territori, impulso alla conoscenza, inclusione sociale, collaborazione intergenerazionale, nuova logistica, ricerca scientifica e tecnologica, nuove attività produttive, formazione culturale e professionale. L’Ente Locale deve diventare  il centro propulsore di tutte le attività umane del territorio ove il governo si identifica con la partecipazione attiva dei cittadini. Il  Comune dovrà fornire l’impulso per una nuova riconversione produttiva. Terra, mare, cultura costituiscono le direttrici verso le quali muovere un nuovo modo di fare economia. Nelle campagne occorre portare più conoscenza, più tecnologia, più cooperazione, nel pieno rispetto della tradizione e della salvaguardia ambientale . L’individualismo è stato considerato il peggior difetto dei nostri contadini, ma non è vero. L’unità produttiva familiare nel nostro comprensorio è stata capace di coniugare solidarietà e spirito di sacrificio, dedizione al lavoro e voglia di crescere, conservazione dei propri valori identificativi. Oggi questa realtà familiare va tutelata e salvaguardata, ma va dotata di strumenti che l’aiutino ad essere competitiva entro un contesto molto più vasto come quello globale, ciò significa che va accorciata la filiera produttiva per ricondurre tutte le attività entro i confini territoriali:  ricerca, produzione, trasformazione, marketing, logistica, nuove rotte commerciali. Il prodotto deve potersi identificare con il territorio ed il territorio deve garantire qualità, salubrità, benessere alimentare, giusto valore per chi vende e per chi acquista. La nuova occupazione nasce e si sviluppa entro questa visione della realtà che ci circonda. Il  Comune dovrà diventare il centro propulsore per la nuova riconversione produttiva che segue quella serricola, offrendo  nuovi servizi, coordinando tutti gli attori della filiera, contrattando con la Regione nuovi livelli di intervento nell’ambito della programmazione regionale e comunitaria, rappresentando il territorio ed interloquendo con soggetti istituzionali di altri territori interni ed esterni all’Europa. L’agricoltura rimane l’asse portante dell’economia, ma interagisce con attività industriali per la trasformazione dei prodotti, promuove il commercio, sostiene la ricerca e la formazione nell’ambito di una programmazione partecipata da tutte le forze produttive. Le attività industriali, nell’ottica di uno sviluppo multicentrico, debbono trarre dall’agricoltura la materia prima per le necessarie trasformazioni, la produzione di licopene dal pomodoro e la coltivazione di altre varietà  vegetali, ad esempio, possono segnare l’inizio di un nuovo processo di sviluppo, stabilendo inediti rapporti tra agricoltura ed industria di trasformazione.  Per raggiungere questi obiettivi non è sufficiente aspirare agli aiuti comunitari, occorre reperire nuove risorse finanziarie nel mercato dei capitali, ma per riuscirci è necessario che il territorio diventi attrattivo. Un territorio attrattivo è un’area a criminalità zero, è un’area dove i servizi funzionano,  dove la pubblica amministrazione è trasparente,  dove i cittadini sviluppano e difendono un alto grado di civiltà. Se i cittadini pretendono il lavoro, allora devono curare il decoro delle loro città, devono combattere il crimine denunciando ed isolando i criminali, devono mandare i figli a scuola, non devono mai smettere di acculturarsi e di migliorare la propria professionalità, devono partecipare alla vita politica della propria comunità, devono contribuire con le proprie azioni al benessere collettivo. E' questa la nuova sfida. Il Comune dovrà favorire la crescita civile dei propri rappresentati pretendendo dai più abbienti il giusto tributo ed aiutando i più deboli a recuperare i propri ritardi materiali e culturali, nello stesso tempo esercita con rigore l’applicazione delle norme. Un territorio attrattivo, anche per un ipotesi di sviluppo turistico, necessita di servizi che funzionano, dall’igiene e pulizia urbana ai trasporti, dall’accoglienza agli eventi culturali, dagli spazi ricreativi alla valorizzazione delle risorse naturali ed ambientali. Nell’ epoca attuale nel Comune  i processi risultano invertiti: il Comune non è il luogo dove una classe dirigente esercita il proprio potere sui cittadini, bensì il luogo dove i cittadini utilizzano gli strumenti della partecipazione per raggiungere i propri obiettivi di crescita materiale e culturale servendosi di una classe dirigente esperta, dotata di competenze culturali e professionali, capace di agire in maniera efficace ed efficiente. Non solo, il Comune non considera la partecipazione ed il confronto  una perdita di tempo. Tutto questo è resilienza, lo sanno bene i vittoriesi che nei secoli hanno fatto dell'innovazione una loro peculiare prerogativa.