giovedì 19 marzo 2020

La lezione del coronavirus




Tempo di costrizione a casa, tempo per le riflessioni. Sarebbe sciocco aspettare il passare della bufera senza utilizzare questo tempo prezioso per un’analisi approfondita su ciò che è stato e ciò che sarà. Le modalità con cui si è manifestata la pandemia ed il modo con cui il virus si è diffuso mi inducono a pensare che quell’invincibilità alla quale l’uomo moderno, sorretto dall’incessante progresso scientifico, si era ciecamente affidato, nei fatti, ha mostrato una falla gigantesca. L’economia mondiale, gravata ora da un nuovo indebitamento che non ha precedenti nella storia universale, rischia di precipitare nel vortice di una grande recessione con gravi ripercussioni per la tenuta della pace mondiale. L’epidemia ha messo a nudo tutte le assurdità connesse al sistema di sviluppo capitalistico, in primo luogo l’idea di una crescita indefinita della ricchezza e lo sfruttamento forsennato delle risorse naturali. Oggi paghiamo le politiche di “deregulation” avviate timidamente dal presidente americano Carter e proseguite da Reagan e dalla Thatcher mediante un ridimensionamento dell’intervento statale nel controllo dell’economia,  lo smantellamento dello Stato Sociale attraverso la privatizzazione di settori strategici quali la sanità, l’istruzione, il welfare. Anche in Italia sono state seguite queste forsennate politiche che hanno comportato la riduzione degli investimenti nel settore della sanità pubblica, della scuola, della spesa sociale senza nessun effetto sull’occupazione e sullo sviluppo equilibrato del Paese, anzi rendendo più ampia la forbice tra Nord e Sud.
La gravissima situazione venutasi a creare con la pandemia da covid-19, è figlia di queste politiche forsennate. Se in Lombardia oggi si è costretti a constatare il collasso delle strutture sanitarie ciò è dovuto in primo luogo all’eccessivo concentramento di attività produttive con conseguente inquinamento atmosferico e altissima densità di popolazione. I principali dattori che influenzano l'andamento di una epidemia, secondo i ricorrenti parametri epidemiologici, sono:
- periodo di incubazione
- infettività dell'agente
- densità della popolazione
- proporzione di recettivi nella popolazione.
In Italia ogni anno muoiono 30.000 persone a causa dell’inquinamento atmosferico. L’impatto è pesante soprattutto al Nord, con la Lombardia a guidare la classifica delle regioni con  il tasso di mortalità più alto. Il rischio più basso si corre in Valle D’Aosta, Basilicata e Molise. Ogni italiano perde 10 mesi di vita a causa dell’inquinamento atmosferico: 14 mesi per chi vive al Nord, 6,6 per gli abitanti del Centro e 5,7 al Sud e isole. (Dati Wired).
Come si evince dalla cartina, il tasso di mortalità a causa dell’inquinamento atmosferico si concentra soprattutto nell’area oggi maggiormente colpita dal coronavirus, confermando il dato epidemiologico secondo il quale la proporzione dei recettivi nella popolazione rappresenta un parametro determinante per la diffusione dei virus

L’altro elemento che rende ancora più drammatico il quadro epidemiologico è caratterizzato dalla densità della popolazione. In Lombardia vi è una densità della popolazione pari a 422,61 abitanti per Km² contro i 67,91 del Molise dove si registrano alla data odierna soltanto 46 persone positive conto le 19.984 della Lombardia.
Inquinamento atmosferico e densità della popolazione da sole certamente non giustificano il dato così allarmante della diffusione del virus in questa regione, ma sicuramente costituiscono fattori largamente determinanti.
L’altro aspetto che va rilevato è la sostenibilità sanitaria. Per anni siamo stati bersagliati da una vulgata pervasiva che ci ha raccontato di una sanità lombarda all’apice delle eccellenze europee se non del mondo. Se ciò fosse vero, l’impatto del virus sulla popolazione avrebbe dovuto essere molto più contenuto. A mio avviso la sanità lombarda è stata costruita seguendo un modello che ha privilegiato ricerca, tecnologia, terapie innovative con forte impronta privatistica, una sanità d’elite rivolta a persone che possono pagare e spostarsi facilmente. Non è assolutamente un modello costruito per bisogni di massa, quale può essere appunto un’epidemia, infatti al primo impatto ha evidenziato tutti i suoi limiti. E’ probabile che la sanità del sud, molto più legata al territorio, è meglio preparata ad affrontare problematiche di questo tipo.
In ogni caso, questa drammatica esperienza ci induce ad un ripensamento del modello di sviluppo. Occorre un ampio decentramento produttivo con particolare riferimento alla Questione Meridionale. Il Nord si potrà salvare se si capirà che occorre cambiare il modello di sviluppo, che occorre decentrare al Sud Italia una parte dell' apparato produttivo concentrato nell'area padana, non de localizzando all’estero, trattenendo in Italia i profitti per favorire i processi di reinvestimento, incoraggiando la ricerca, investendo nel sapere, riscoprendo gli antichi mestieri ripensati attraverso l’uso delle nuove tecnologie, sottoscrivendo un patto tra i produttori (imprese-operai) per favorire la rinascita, perché quello che ci attende e un nuovo dopoguerra.



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