venerdì 25 maggio 2012

Una riflessione sulla società e sulle sue trasformazioni


La rapidità con cui accadono gli avvenimenti oggi nel mondo ci ha fatto precipitare in un’epoca dove è difficile metabolizzare i cambiamenti;  così, nel volgere di un decennio, tutte le certezze sulle quali avevamo costruito le nostre aspettative sono crollate, lasciando in ciascuno di noi un senso di smarrimento misto a paura e angoscia per il futuro che ci attende. L’avanzare impetuoso dell’Era Digitale ha risucchiato come in un grande trituratore il pensiero filosofico che ha supportato, per oltre un secolo, l’affermarsi dell’Era Industriale unitamente a tutti gli strumenti nati per consolidare il nuovo assetto produttivo-economico-politico. Così, improvvisamente, Capitalismo e Comunismo, come modalità di esercizio del potere, televisione e  giornali, come modi di trasmissione della cultura, le stesse modalità di accesso al lavoro, ci appaiono come categorie non più sufficienti a spiegare come e perché siamo nel mondo. Purtuttavia l’Era Industriale lascia  all’umanità conquiste molto importanti che consolidano il suo lungo percorso di affrancamento dalla originaria condizione animale per procedere verso un destino che, seppure ancora ignoto, non può non essere pensato come un progressivo avanzamento verso nuovi e più esaltanti traguardi. Nella seconda metà del Settecento, quando alle colture estensive si sostituirono le colture intensive sostenute dalla nascente meccanizzazione, nessuno avrebbe immaginato che da lì a poco sarebbe scomparsa la nobiltà, che milioni di uomini e donne si sarebbero trasferiti dalle campagne alle città, che gli artigiani si sarebbero trasformati in operai, che le leggi sarebbero state fatte dai parlamenti, che sarebbero sorte le scuole pubbliche e il Welfare State.
Ci troviamo nel pieno della crisi del mondo occidentale. Nel 2008, per la prima volta, il costo del petrolio è schizzato a 148 dollari al barile. E’ stato il segnale che ha fatto percepire che l’energia fondata sull’estrazione di materiali fossili aveva oltrepassato la curva di massima criticità, cioè da quel momento le Nazioni hanno dovuto fare i conti con l’esaurimento sulla Terra di carbone, gas e petrolio, ciò che ha reso il costo dell’energia sempre più alto, facendo salire vertiginosamente i costi di produzione e i prezzi al consumo. I primi a capirlo sono stati gli investitori, i quali hanno sottratto quote di finanziamento sempre più cospicue alle attività produttive(perché ormai considerate scarsamente remunerative del capitale investito), orientandosi piuttosto verso i capitali finanziari, stimolando l’accesso di grandi masse al credito al consumo, perlopiù orientato all’acquisto della prima casa e di beni tecnologici di più larga presa sui consumatori (come telefonini-computer-televisori) e lucrando, così, sui tassi d’interesse, sicuramente più remunerativi dei titoli di Stato o degli investimenti produttivi. Certo, non è dato sapere, fino a che punto gli investitori non sono stati capaci di prevedere che la smobilitazione finanziaria sulle attività produttive, soprattutto, nelle aree economiche più a rischio (Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna, Italia) avrebbe creato un aumento della disoccupazione e una restrizione della disponibilità finanziaria delle famiglie, costrette oggi a non potere onorare il pagamento del proprio debito alle banche. La crisi bancaria, così, ha fatto esplodere tutte le contraddizioni del mondo capitalistico e, come nel ’29, appare in tutta evidenza che il mercato, così come è stato teorizzato finora, non riesce ad autoregolamentarsi e che può sostenersi solo ed esclusivamente attraverso l’intervento dello Stato, facendo pagare al popolo, attraverso l’imposizione di enormi sacrifici, le proprie interne contraddizioni. Cosa si ricava da queste premesse. Intanto la consapevolezza che ci troviamo nel mezzo di un cambiamento epocale; che, come è già successo, l’uomo si trova a che fare i conti con la limitatezza delle risorse naturali; che tale situazione lo spinge a nuove migrazioni, non solo geografiche, ma anche verso nuove mete culturali e sociali; che le nuove invenzioni spingono da un lato a sperimentare nuove forme produttive, dall’altro ad introdurre un nuovo sistema di relazioni umane, relazioni che Jeremy Rifkin definisce di tipo empatico in contrapposizione al tipo egocentrico individualista di derivazione illuminista. Occorre, allora, promuovere un nuovo sistema economico,  decentrato e sorretto da una grande base popolare, non più centrato sulla figura del Padrone ma sulla partecipazione attiva dei produttori, sul modello delle società no-profit, un sistema a rete  capace istantaneamente di collegare gli interessi di milioni di uomini solidali, empatici, che oltre a scambiarsi emozioni e pensieri si scambiano beni e servizi. E fra i beni e servizi ci potrà essere anche lo scambio di energia prodotta sotto casa, sfruttando sole e geotermia, vento e marosi; la fine, cioè delle Sette Sorelle, protagoniste, nel secolo dei lumi, di sfruttamento, guerre, genocidi, perpetrati in nome del petrolio e del benessere dell’occidente. Uno sviluppo, quindi, orizzontale, che lentamente porrà fine agli stati nazionali mettendo al centro l’uomo, non più come individuo ma come genere umano unito dalla necessità di salvarsi dalla fine incombente della vita sulla terra. Ci si rende conto, allora, che in un sistema dove l’energia potrà essere  distribuita, come del resto le attività produttive, la centralità assunta dal lavoro nella precedente rivoluzione industriale, subirà delle trasformazioni: meno lavoro salariato, più lavoro autonomo,meno produzione di beni, più servizi, meno welfare state, più welfare community, meno stato, più società e solidarietà; entro questa nuova prospettiva i giovani dovranno sperimentare il loro percorso di vita. Mi sovviene in questa circostanza il pensiero di Chiara Lubich, allorchè sottolineava come nel secolo delle rivoluzioni industriali i principi sanciti dalla Rivoluzione Francese non si erano del tutto compiuti, perché mentre è del tutto evidente che i principi di uguaglianza e di libertà sono stati ampiamente sperimentati, il principio della fraternità non è stato completamente realizzato; così, nella nuova era empatica, come viene definita da Rifkin, è probabile che trovi compiutezza lo spirito che animò, all’inizio, la Rivoluzione Francese. Occorre, dunque, contrastare con ogni mezzo il clima di sfiducia che corre non solo lungo la rete, e che s’incunea dentro le famiglie, pervade i discorsi degli esagitati politici, che hanno occupato lo spazio degli imbonitori di altri tempi, che chiude l’ansia delle aspettative giovanili dentro angusti e desolanti spazi di rassegnata solitudine. Ma per uscire da quello che ormai sembra un vicolo cieco, occorre riscoprire la voglia di lottare e di rendersi protagonisti, senza per ciò rinunciare al bene prezioso che ormai abbiamo catalogato fra quelli irrinunciabili che la Storia ci ha lasciato in eredità: la democrazia. E’, dunque, dentro la prospettiva democratica che occorre lottare, con i partiti che devono trovare la voglia di scommettersi attraverso la loro autoriforma, per rendere possibile il grande bisogno di partecipazione avvertito dai cittadini, ma anche per adattarsi ai tempi, ai processi di globalizzazione secondo la logica del “pensare globale ed agire locale”, che sembra la massima più idonea a rappresentare il nostro tempo. Mi piace ricordare, perché positivo e ricco di tanta speranza, questo bellissimo messaggio di Dario Fo e Franca Rame : “La globalizzazione è bellissima… un’idea meravigliosa sta prendendo piede nel mondo: basta con la guerra, basta con le barriere tra gli stati, un’unica legge valida in tutto il pianeta e interessi talmente intrecciati da rendere impossibile nel futuro lo scoppiare di una guerra. La globalizzazione è una rivoluzione straordinaria, resa possibile da internet…basta con i dazi e le dogane…”.

mercoledì 23 maggio 2012

La mafia è una montagna di merda!



Ringrazio le ragazze e i ragazzi dell'Istituto Professionale Statale di Vittoria che oggi ci hanno ospitato, assieme a me il Comandante Provinciale della Guardia di Finanza Fallica e il Presidente del Consiglio Comunale Di Falco, per commemorare insieme Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Grazie anche al Preside, alle insegnanti e agli insegnanti che hanno partecipato e favorito l'incontro. Ho colto l'impressione che i giovani hanno piena consapevolezza che il sapere è una delle risorse principali per sconfiggere la mafia in tutte le sue manifestazioni; non ho colto rassegnazione e sfiducia, anche perchè la rassegnazione e la sfiducia non sono nel DNA dei vittoriesi. Ho colto positivamente la presenza di numerosi ragazzi extracomunitari, perfettamente integrati nelle loro classi, segno questo di un buon lavoro fatto dal corpo docente in questa scuola che prepara i tecnici di domani e di cui la nostra economia in trasformazione avrà tanto bisogno. Alla fine dell'incontro abbiamo deciso che ciascuno dei presenti manderà, nel corso della giornata, un mms ai propri amici e conoscenti con la frase di Peppino Impastato"la mafia è una montagna di merda", in modo tale da inondare tutto il WEB della nostra volontà di contrastare la mafia, anche nel mondo artificiale del WEB nel quale la nuova mafia tenta di diffondere il proprio messaggio di morte. Ci terremo in contatto su facebook per seguire i risultati di questa iniziativa ed anche per promuoverne di altre.




martedì 22 maggio 2012

A proposito di rifiuti e di sicurezza ambientale


La settimana appena trascorsa ha visto la questione rifiuti alimentare il confronto politico cittadino, con particolare riferimento alla grave situazione in cui versa l’AMIU. Mi è parso che tutti concordono per la dismissione dell’azienda speciale, ma non ho avuto modo di leggere un’analisi seria ed approfondita della questione, che non è l’AMIU di per sé, quanto l’emergenza ambientale che coinvolge l’intero territorio della provincia di Ragusa e le iniziative di carattere amministrativo che con urgenza occorre adottare prima che l’emergenza si trasformi in dramma. Per quanto riguarda l’AMIU ciò che preoccupa è l’esposizione debitoria che ammonta a circa 17 milioni di euro. Si tratta di una cifra notevole di cui si dovrà fare carico il bilancio del Comune unitamente all’altro debito che il Comune detiene nei confronti dell’ATO. Considerato che né lo Stato né la Regione hanno alcuna intenzione di sanare la situazione debitoria dei comuni, questo debito è presumibile che dovrà ricadere sulle tasche dei cittadini. E’ lo specchio di quest’Italia che non riesce ad amministrare le proprie risorse con rigore e, soprattutto, con oculatezza. Tutti, indistintamente, si sono espressi per rimarcare che l’AMIU è stato in tutti questi anni un ammortizzatore sociale ed oggi, tutti, indistintamente, sono d’accordo sul fatto che l’azienda, indebitata com’è, deve essere liquidata. Ma se tutti concordano sul fatto che l’AMIU oltre ad occuparsi di rifiuti ha funto da ufficio di collocamento, e non sempre nel pieno rispetto della legalità, secondo quanto affermato dai detrattori,  per quale motivo ora si dovrebbe liquidare? Alcuni sostengono che bisogna procedere con la liquidazione perché previsto dalla legge. Ma è certo che la legge prevede proprio la liquidazione delle aziende speciali? Oppure si tratta di società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali? Pare che in alcune regioni, come la Puglia,  molti comuni hanno chiesto, prima di procedere alle dismissioni, appositi pareri alle sezioni regionali della Corte dei Conti e, in alcuni casi, sembra che tali pareri siano piuttosto favorevoli al mantenimento delle società, sempre che queste producano servizi di interesse generale. Tra l’altro in provincia di Ragusa ci troviamo nella particolare situazione in cui l’ATO non svolge alcun servizio, né il soggetto attuatore, individuato nell’ordinanza n. 151 del Presidente della Regione, ha provveduto, malgrado siano trascorsi oltre 6 mesi, a bandire la gara su base provinciale per l’individuazione della ditta cui affidare il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Il Vice sindaco Cilia, in una recente intervista, ha dichiarato che l’ipotesi prima prospettata della partecipazione al progetto dell’ATO CL2 di Gela non è più perseguibile (ma va là?) e che la soluzione ultima scelta dall’Amministrazione vittoriese era quella di affidarsi all’ATO di Ragusa per la realizzazione della raccolta differenziata, oltre a procedere urgentemente alla dismissione dell’AMIU (Eventisicilia 10 maggio 2012). Ma resta il fondato sospetto che anche questa prospettazione trovi ostacoli difficili da superare. La legge finanziaria regionale pubblicata lo scorso 11 maggio, infatti, a proposito di ATO stabilisce che “..le gestioni cessano il 30 settembre 2012 e sono trasferite in capo ai nuovi soggetti gestori con conseguente divieto per i liquidatori degli attuali Consorzi e Società d’ambito di compiere ogni atto di gestione. Gli attuali Consorzi e Società d’ambito si estinguono entro il 31 dicembre 2012” ; inoltre, la circolare n.1 del 16 maggio 2012 ribadisce che “In aderenza al citato dettato normativo, che di fatto modifica e integra l’articolo 19 comma 12 della legge regionale 8 aprile 2010, n. 9, quindi i liquidatori potranno, solo entro e non oltre il citato termine, porre in essere atti di gestione, i cui effetti comunque dovranno cessare entro il 31 dicembre 2012, data entro la quale dovrà avvenire, sempre ai sensi del citato comma 2 bis, l’estinzione dei consorzi e delle società d’ambito. Gli atti di gestione, ivi compresi quelli riguardanti il personale, posti in essere o producenti effetti oltre i suddetti termini, in quanto emessi in carenza di potere, saranno viziati pertanto da nullità.  Pertanto  appare assai difficile, stante la ripartizione delle competenze in atto previste dalla legge, anche in riferimento all’ordinanza 151, che l’ATO possa indire la gara. Tra l’altro non si capisce perché il Comune rinuncia a perseguire la strada di una soluzione alternativa all’ATO e alle SRR visto che la stessa legge regionale prevede che:” I comuni possono presentare all’Amministrazione regionale, ai sensi del citato articolo 3 bis ed entro il 31 maggio 2012, la proposta di individuazione di specifici bacini territoriali di dimensione diversa da quella provinciale, purché la proposta sia motivata sulla base di criteri di differenziazione territoriale, socio economica, nonché attinenti alle caratteristiche del servizio”. La possibilità di consorziare i Comuni dell’area trasformata ai fini del trattamento dei rifiuti mediante la raccolta differenziata, a mio avviso, potrebbe costituire un’occasione straordinaria per rendere il servizio efficiente ed efficace anche per quanto riguarda i costi di gestione. Ritengo, pertanto, che tra un’improbabile assunzione del servizio da parte dell’ATO di Ragusa, prossimo alla chiusura, e la possibilità di sperimentare un nuovo percorso che vedrebbe il Comune di Vittoria capofila dei comuni costieri, credo che questa seconda ipotesi potrebbe essere di gran lunga la più percorribile. Di fronte al rincorrersi di proposte, di cifre, di proclami che finora hanno soltanto creato tanta confusione tra i cittadini, e anche tanta preoccupazione, sarebbe opportuno che il Sindaco di Vittoria procedesse al più presto alla convocazione di un tavolo tecnico, cui chiamare a partecipare persone “veramente” competenti, per definire in tempi brevissimi un percorso amministrativo chiaro e finalmente definitivo per risolvere il problema dei rifiuti a Vittoria e anche quello della messa in sicurezza della discarica, senza il quale la Città rischia di precipitare nella pattumiera e, con essa, la sua classe politica.

In ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino




Sono stato invitato a commemorare domani il XX anniversario della strage di Capaci in una scuola cittadina. Inviterò le ragazze e i ragazzi a riflettere insieme su alcune massime.

“Possiamo fare sempre qualcosa: massima che andrebbe scolpita sullo scranno di ogni magistrato e di ogni poliziotto”
                                                                                                                                     (Giovanni Falcone)

“La mafia è una montagna di merda”
                                                                                                                                     ( Peppino Impastato)

“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con la biro, quello con la pistola è un uomo morto”
                                                                                                                                     (Roberto Benigni)

 “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”
                                                                                                                                     (Paolo Borsellino)

“Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”
                                                                                                                                     (Paolo Borsellino)

“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”
                                                                                                                                     (Paolo Borsellino)

Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”
                                                                                                                                     (Paolo Borsellino)

“La lotta alla mafia non può fermarsi a una sola stanza, la lotta alla mafia deve coinvolgere l’intero palazzo. All’opera del muratore deve affiancarsi quella dell’ingegnere. Se pulisci una stanza non puoi ignorare che altre stanze possono essere sporche, che magari l’ascensore non funziona, che non ci sono le scale….Io vado a Roma per contribuire a costruire il palazzo”
                                                                                                                                     (Giovanni Falcone)

“Un’affermazione del genere mi costa molto, ma se le istituzioni continuano nella loro politica di miopia nei confronti della mafia, temo che la loro assoluta mancanza di prestigio nelle terre in cui prospera la criminalità organizzata non farà che favorire Cosa Nostra”

                                                                                                                                     (Giovanni Falcone)
“L’impegno dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata è emotivo, episodico, fluttuante. Motivato solo dall’impressione suscitata da un dato crimine o dall’effetto che una particolare iniziativa governativa può suscitare nell’opinione pubblica”.

                                                                                                                                     (Giovanni Falcone)




sabato 19 maggio 2012

BESTIE FEROCI!


 
         REAGIRE ALLA BARBARIE!

Così  di buon mattino, alle otto, l’umanità fa un passo indietro, l’impulso bestiale prende il sopravvento e la civiltà s’arresta con l’esplosione, e poi la morte di una giovane studentessa, il sangue cosparso di altri giovani innocenti, figli di tutti noi. Colpire una scuola e i suoi simboli, non era mai successo! Non ho voglia di niente, oggi. Si fa fatica a pensare al dolore di quelle famiglie, mente e cuore sono bloccati dall’emozione. L’immagine di quella strada sconquassata, le cartelle disperse, la disperazione cosparsa sulle cose. Non c’è voglia di niente oggi, solo di piangere. Fermiamoli, prima che sia troppo tardi!

martedì 8 maggio 2012

Una provincia in… standby!

La scorsa settimana la Camera di Commercio di Ragusa ha presentato il 10° rapporto sull’economia della provincia. Si tratta di una iniziativa molto meritevole, perché la raccolta dei dati è fatta con criterio scientifico e mette a disposizione degli osservatori cifre e dati che parlano di noi senza la mediazione della politica politicante, cioè di quell’insieme di organismi votato ormai all’autoreferenzialità, divenuti luoghi ormai dove ognuno c’è per se stesso e dove s’è persa la relazione autentica con coloro che si ha la pretesa di rappresentare.Ho colto l’impressione che il nostro territorio non è un camposanto, di certo non gode buona salute. Ma in tempi di crisi e di grandi difficoltà, reggersi in piedi magari leccandosi qualche ferita, è una cosa straordinaria. L’idea che se ne può ricavare è che ci troviamo davanti un territorio in standby. Secondo l’Unioncamere, infatti, la provincia di Ragusa si colloca in un’area intermedia tra le aree di marginalità e quelle in fase di crescita, esattamente tra quelle in cui lo sviluppo si è bloccato e dove persiste una difficoltà a creare le condizione per ripartire. Confrontando i dati con quelli del censimento dell’agricoltura appare rafforzato il dato che vede un arretramento della piccola impresa agricola a fronte di un aumento significativo dell’impresa di capitali in agricoltura. Nell’ultimo decennio, infatti, molti piccoli coltivatori hanno dovuto abbandonare la terra a causa degli alti costi di produzione, ma anche per il venire meno di quel fenomeno tipico dell’area iblea costituito dall’impresa di tipo familiare ove il diretto coltivatore poteva fare affidamento sull’apporto dei propri congiunti nelle fasi marginali dell’attività di impresa. Ad avvantaggiarsi di questa situazione è stata la società di capitali che ha potuto procedere ad una serie di accorpamenti fondiari riducendo i precedenti proprietari a lavoratori salariati ai quali vengono affiancati lavoratori di provenienza extracomunitaria. Ciò malgrado, la piccola impresa diretto coltivatrice, inferiore ai due ettari, costituisce ancora il 51,4% del totale delle imprese occupando solo il 6% della Superficie Agraria Totale, ma perde lungo il decennio 2000/2010 ben 9.000 unità.C’è, dunque, una trasformazione in atto che riguarda sostanzialmente la zona costiera trasformata. E’ in quest’area che si stanno verificando processi di radicale cambiamento accompagnato da profonde lacerazioni del tessuto sociale. Da un lato nasce e si rafforza l’azienda con caratteristiche neo capitaliste, la quale può contare su: manodopera salariata a basso costo, accesso al credito privilegiato, accesso ai contributi comunitari,  capacità di interlocuzione con la Grande Distribuzione Organizzata, capacità di sfruttare l’innovazione tecnologica e la ricerca, capacità di operare in un contesto internazionale, capacità di promuovere sistemi di reti interni ed esterni. Dall’altro lato esiste un universo polverizzato di micro imprese agricole, che  sostanzialmente resiste con grandi difficoltà a causa degli elevati costi unitari di produzione (per ammortamenti, energia, materie prime, previdenza, assicurazioni, credito, trasporti, provvigioni), dell’incertezza che caratterizza l’andamento dei prezzi di vendita dei prodotti, del cambiamento climatico artefice di nuovi e più devastanti fenomeni atmosferici, del verificarsi di eccedenza dell’offerta di prodotti, della concorrenza straniera, dell’incapacità ad accedere all’innovazione tecnologica ed alla ricerca. Un comparto che si difende in modo disperato, lo si evince dalla classe di età dei titolari che per il 25% si colloca oltre la fascia dei 70 anni. Si tratta di coltivatori che hanno i figli alle proprie dipendenze che possono così beneficiare più facilmente di sussidi di disoccupazione e altre piccole agevolazioni. Un altro aspetto è costituito dalla diminuzione del possesso della terra, infatti i proprietari diminuiscono di oltre il 40%, mentre aumentano i conduttori in affitto (+115%) o con terreni ricevuti in comodato d’uso (+355%). Inoltre, risulta rilevante l’indebitamento verso gli istituti previdenziali e verso le banche. Se ai dati agricoli si sommano le difficoltà del settore industriale più importante che è quello dell’edilizia, dove sono stati licenziati oltre 2000 operai e più di 500 aziende risultano non operative, la disoccupazione giovanile e quella femminile in particolare, allora il quadro economico è quello di una provincia che lotta tra un processo di recessione sempre più marcato da un lato e, dall’altro, tra speranze di cambiamento che, comunque, non si fondano su un progetto di società capace di dare lo startup. Una situazione in bilico, una situazione in standby. Ripercorrendo la storia di questa crisi, che è anche la storia di questa provincia degli ultimi 30 anni, mi sono convinto che le radici più profonde di queste difficoltà possono essere ritrovate in un deficit di senso che viepiù ha preso le forme di una degenerazione del legame sociale, che è stato fondamento di quello che, nel tempo, è stato spiegato come una “diversità ragusana”. Mi riferisco alla dissociazione che si è prodotta nel tempo tra le istanze economiche primarie e le forme organizzate della società, le prime completamente pervase dalla cultura dei consumi hanno finito per abbandonare qualsiasi ipotesi di  consolidamento e allargamento della struttura economica riversando le proprie risorse in investimenti di tipo edonistico o cumulativo conservativo; i partiti e le grandi organizzazioni di massa hanno cessato, ormai da tempo, di essere centri produttori di senso essendo cresciuta, piuttosto, una classe dirigente orientata al perseguimento di fini personali tendenti al consolidamento della propria carriera perdendo, nel corso degli anni, quella funzione profetica che aveva caratterizzato la classe politica nata nel primo dopoguerra e cresciuta nel crogiuolo delle lotte bracciantili per la conquista della terra. Ora se, allora, nel dopoguerra, la crisi era fondamentalmente di tipo dialettico, proprietà assenteista verso braccianti senza terra, superata grazie al passaggio della proprietà da una classe all’altra ( fondamentale la parola d’ordine del PCI in controtendenza agli orientamenti nazionali: la terra si acquista e non si conquista) realizzando di fatto una rivoluzione moderna, oggi la crisi è di carattere entropico  determinata principalmente da un collassamento delle strutture economiche più piccole a causa dal fatto che i piccoli produttori non conoscono i meccanismi con cui rapportarsi con il fenomeno della globalizzazione, c’è dunque un deficit di conoscenza che avrebbe dovuto essere colmato da nuove forme organizzative capaci di riordinare i processi produttivi per essere nel mondo, ma è qui che la politica ha fallito il proprio compito storico interrompendo di fatto quel processo originario di riscatto che aveva determinato la “diversità ragusana”. Come sostiene Stefano Zamagni: “..non si esce da una crisi entropica con aggiustamenti di natura tecnica o con provvedimenti solo legislativi e regolamentari – pure necessari – ma affrontando di petto, risolvendola, la questione del senso. Ecco perché sono indispensabili a tale scopo minoranze profetiche che sappiano indicare alla società la nuova direzione verso cui muovere mediante un supplemento di pensiero e soprattutto la testimonianza delle opere”. Queste minoranze profetiche non possono essere confuse con quelle che aspettano con ansia il treno per Sala d’Ercole o per Palazzo Madama per sfuggire alle loro responsabilità storiche, le minoranze profetiche sono quelle che nascono dalle lotte e restano nel convento a seguire la massima  “ora et labora”, indispensabile per dare lo startup per un nuovo rinascimento ibleo.

“GRANDE CONFUSIONE SOTTO IL CIELO, LA SITUAZIONE E’ ECCELLENTE”


Nella tanta vituperata legge finanziaria varata recentemente dal Governo Regionale, si è trovato modo di inserire un emendamento dell’ultimo minuto che affronta l’annosa questione dei rifiuti. Ancora una volta si è deciso che i ventisette ATO siciliani cesseranno di esistere alla data del 30 settembre prossimo (dovevano cessare il 31 dicembre 2011) ed a loro posto dovranno subentrare le nuove società, le cosiddette SRR, 10 per l’esattezza. La Regione per favorire la transizione, potrà assicurare una sorta di assistenza finanziaria ai comuni, con piani di anticipazione della durata di 10 anni. Per quanto riguarda il miliardo di debiti già accumulati, l'ipotesi è quella di ricorrere al mercato finanziario o ad aziende che svolgono servizio di riscossione. La norma appena varata non farà che aumentare la confusione nel tormentato sistema di gestione dei rifiuti, perché non scioglie alcuni nodi fondamentali. Intanto la Sicilia non ha un Piano Regionale dei Rifiuti, poiché quello adottato giace ormai da anni negli uffici della Protezione Civile a Roma e non c’è alcuna speranza che possa essere adottato, visto che sussistono profondi disaccordi circa le modalità di smaltimento, mentre le poche discariche in esercizio si avviano drammaticamente verso il loro esaurimento, tranne quelle private per le quali può attendersi un roseo futuro a carico delle casse comunali. Resta ancora irrisolto il problema dell’indebitamento degli attuali ATO, che ammonta ad oltre un miliardo di euro, per il quale è previsto il ricorso al mercato finanziario. Ma, nei due anni precedenti,  sono state esperite già tre gare e  nessuna banca ha avuto interesse a partecipare, segno evidente della scarsa fiducia che il mercato finanziario nutre circa la solvibilità della Regione. A meno che il tasso di interesse da garantire per la contrazione del mutuo non sarà così elevato da stuzzicare l’interesse delle banche, con conseguenze durissime per le casse  dei Comuni e, di conseguenza, per le tasche dei cittadini contribuenti. Le costituende SRR sono avversate dai Sindaci, infatti oltre 49 consigli comunali hanno già deliberato di non volerle costituire, mentre nello stesso articolato della finanziaria regionale è previsto il commissariamento dei consigli comunali che non provvederanno a deliberare la costituzione delle società come previsto dalla legge 9/2010. Si apre, dunque, una drammatica prospettiva di scontro tra Enti Locali e Regione in un momento abbastanza delicato per il sistema dei rifiuti siciliano, ormai giunto a livelli di vera e propria emergenza. Ma altre contraddizioni dovranno essere risolte. L’ordinanza del Commissario per l’Emergenza Rifiuti in Sicilia, la n. 151 del 2011, ha previsto la possibilità per i Comuni siciliani di aderire a nuove aggregazioni di enti locali per la produzione di Progetti Gestionali Sperimentali dei Rifiuti, aggregazioni che vengono a configurarsi come nuove società d’ambito nel caso di aggregazioni di singoli comuni, o le vecchie società d’ambito (ATO) che si vengono a riconfigurare sulla base di nuove adesioni di comuni che, lasciando l’ATO di appartenenza, aderiscono ad un ATO diverso. Ciò significa che in Sicilia dal prossimo settembre ad occuparsi di rifiuti ci saranno, salvo ulteriori ripensamenti o precisazioni, le Società per la Regolamentazione dei Rifiuti (una per ogni provincia), le aggregazioni dei Comuni associati per la realizzazione di Progetti Gestionali Sperimentali, vecchie ATO ricostituite per l’attuazione di Progetti Gestionali Sperimentali, come l’Ato CL2 di Gela. Alla luce delle nuove disposizioni, dunque, centinaia di Comuni, nella speranza di potere accedere a possibili nuovi finanziamenti, hanno manifestato l’interesse ad abbandonare l’ATO di appartenenza per aderire all’ATO promotore di un Progetto di Gestione Sperimentale. Nell’attesa, intanto, dell’approvazione di questi progetti, secondo quanto previsto dalla finanziaria regionale, i Consigli Comunali dovrebbero deliberare la costituzione della nuova Società, la Società per la Regolamentazione di Rifiuti. Ma che succederà nei Comuni in cui si è deciso di aderire ad una nuova aggregazione? Il Comune di Vittoria, ad esempio, ha deciso di aderire alla istituenda SRR, ma nello stesso tempo ha manifestato interesse ad aggregarsi all’ATO CL2 di Gela per la realizzazione di un Progetto di Gestione Sperimentale dei Rifiuti. Nella prima ipotesi l’ATO Ragusa sarà liquidato e sostituito dalla nuova società, nella seconda ipotesi il Comune di Vittoria abbandonerà l’ATO Ragusa per far parte dell’ATO CL2 di Gela, il quale eserciterà il ruolo di Ente capofila della nuova aggregazione di Comuni, avendo presentato alla Regione un Progetto Sperimentale. Leggendo l’ordinanza del Commissario Rifiuti e il provvedimento del Soggetto Attuatore, nonché gli atti deliberativi adottati dagli Enti interessati, atti che sembrano essere solo propedeutici alla nuova gestione, mi pongo alcuni interrogativi:

·       se è stata valutata e con quali modalità la convenienza dal punto vista tecnico, organizzativo ed economico del Comune di Vittoria ad aderire al progetto della gelese ATO CL2;

·       se il progetto sperimentale dell’ATO CL2 di Gela, presentato alla Regione in data 10 febbraio 2012 ha fatto riferimento, relativamente al rispetto dei parametri tecnici ed economici previsti dalla Disposizione n. 168 del 29 dicembre 2011 del Soggetto Attuatore, al territorio del Comune di Vittoria, visto che la delibera di adesione del Comune, del 14 febbraio 2012,  è successiva alla presentazione del Progetto;

·       se la messa in sicurezza della discarica di Pozzo Bollente è contemplata dal Progetto di Gestione Sperimentale presentato dall’ATO CL2;

·       se è stato valutato il fatto che aderendo al Progetto di Gestione Sperimentale  il Comune delega l’ATO CL2 ad agire per conto del Comune per tutti gli adempimenti consequenziali alla gestione del progetto, perdendo in tal modo la propria sovranità in materia di trattamento e gestione dei rifiuti nel proprio territorio;



Nel clima di grande incertezza che oggi regna in Sicilia, anche per le dichiarazioni del Presidente della Regione che vorrebbero anticipate al mese di settembre le elezioni regionali, potrebbe essere utile costituire un’apposita commissione consiliare che si occupi di disegnare gli scenari entro cui contemplare eventuali ipotesi alternative, anche di emergenza, di gestione dei rifiuti nel territorio, non escludendo un’iniziativa politica di ampio respiro, capace di coinvolgere altri comuni e la provincia, come la possibilità di promuovere un’iniziativa legislativa in materia di rifiuti proposta direttamente dagli Enti Locali, considerato che l’iniziativa legislativa in Sicilia spetta anche ai Comuni secondo quanto stabilito dall’art. 12 dello Statuto Siciliano. Agli Enti Locali non mancano certo le risorse tecniche necessarie per predisporre un provvedimento legislativo e costituirebbe una risposta alla mala politica, promuovendo pure la partecipazione dal basso in sinergia con le rappresentanze civili e i cittadini.

Il Presidente Mao soleva spesso ripetere: “Grande confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente”, per dire che nei periodi di grande incertezza l’occasione può essere propizia per determinare un cambiamento positivo.

Tra il dire e il fare…di mezzo ci sono i rifiuti!


Scatenati come mai. Contro le famiglie. Sembra un bollettino di guerra: 10 famiglie denunciate a Pozzallo, 14 a Scicli, 20 a Vittoria. Il comandante dei Vigili Urbani di Vittoria è categorico: L’obbligo scolastico, infatti, viene troppo spesso disatteso, soprattutto per la superficialità con cui viene ancora considerata la formazione scolastica anche da chi esercita la patria potestà”. La dispersione scolastica costituisce un gravissimo problema sociale e Vittoria è, da sempre,una delle città più esposte. Sembrerebbe una contraddizione, una città ricca con un fenomeno sociale così evidente. Ma è la storia di tutte le periferie urbane delle città ricche ove, negli anni, si sono riversate masse di sottoproletariato provenienti dalle aree limitrofe più degradate, oggi immigrati da altri Paesi. Non è che manca il lavoro, ma l’agricoltura specializzata ha bisogno di operai agricoli specializzati e nessuno, oggi, è disposto a pagare la manovalanza più di quanto vale sul mercato la manodopera di provenienza extracomunitaria. Si tratta di periferie disorganizzate, ove la povertà si sposa con la deprivazione economica e culturale, dove il disagio ambientale si tocca con mano. Lo Stato in queste periferie si vede solo in certe circostanze, quando ci sono retate contro la microcriminalità, durante le elezioni politiche ed amministrative, quando si devono rastrellare tasse e gabelle, comunque quando c’è da perseguire, oppure, cosa ancora più orrenda, quando il fenomeno è da studiare. Il lapsus freudiano in cui è incorso il comandante è già di per sé una risposta al problema: “…soprattutto per la superficialità con cui viene ancora considerata la formazione scolastica anche da chi esercita la patria potestà”. Questo “anche” dimostra che c’è un problema altrove, cioè nelle istituzioni che dovrebbero procurare di organizzare la vita civile e sociale secondo canoni ispirati alla Costituzione della Repubblica. Già perché prima dell’obbligo formativo, c’è il diritto di tutti i fanciulli ad avere assicurate le condizioni materiali per potere frequentare dignitosamente la scuola. Ma così non è. La Regione Sicilia ha impegnato nei giorni scorsi la ragionevole somma di 587 milioni di euro per la formazione professionale. Sono soldi che saranno spesi per mantenere in piedi il sistema clientelare più vergognoso d’Europa, a cui fanno riferimento senza distinzione di sesso, razza e appartenenza politica, tutti i novanta Baroni Deputati siciliani con l’intermediazione parassitaria di tutte le sigle sindacali. Un sistema assolutamente inutile ed improduttivo che mantiene oltre 22 mila dipendenti, impegnati (si fa per dire) per 3 o 4 mesi all’anno, per erogare una formazione assolutamente inutile per i giovani che la frequentano, ma utilissima a chi sulle clientele costruisce le proprie fortune politiche, con la connivenza più o meno palese di chi dovrebbe controllare e perseguire i reati, anche quelli contabili. Così nel catalogo della formazione professionale abbondano offerte formative per estetiste, pizzaioli, meccanici, elettricisti, di cui non si avverte assolutamente la necessità, infatti a monte non è prevista una attendibile analisi dei bisogni, perché nel caso esistesse bisognerebbe mandare a casa l’esercito di docenti in atto assunti (tutti con metodi assolutamente clientelari, tanto garantisce il sindacato!) i quali, come si dice dalle nostre parti, sono tutti “mastri di ‘na furma”, gente alla quale non è stata mai imposto l’obbligo di un pur minimo aggiornamento professionale. Nessuno si è chiesto finora che fine fa l’esercito di giovani diplomati da queste agenzie formative regionali. Anzi se lo è chiesto l’Assemblea Regionale Siciliana, la quale ha ordinato un’apposita inchiesta i cui risultati sono stati divulgati qualche mese fa. Ne è venuto fuori uno scandalo di cui si è occupata tutta la stampa nazionale. Ci si aspettava che il Governo assumesse in proposito un’iniziativa clamorosa. Invece è stato varato il solito programma formativo, forse anche peggiorato, ma, diversamente dal passato, ora al suo finanziamento non si provvederà con finanziamenti regionali, bensì con fondi comunitari. Così i 90 Baroni Deputati hanno trovato un escamotage degno di tanta arguzia sopraffina, con i soldi che dovrebbero servire, come si dice in questi giorni, alla “crescita”, invece si finanzia il proprio apparato clientelare, pronto per affrontare la prossima campagna elettorale. Mi ha detto un bambino: “Dopo che io devo fare questi due anni in più di scuola che faccio? Alla fine devo ritornare in campagna ad aiutare mio padre nelle serre. Tanto vale che ci vado subito”. A questa domanda dovrebbero dare una risposta coloro che predispongono le liste di proscrizione delle famiglie da trasmettere alla magistratura: presidi, provveditorato, burocrati e assessori comunali e comandanti di guardie, tutti colti da sindrome mediatica, tutti presenti quando il fenomeno è da studiare o da reprimere, assenti quando il problema è da risolvere. Ma già che il mondo sembra girare all’incontrario! Una volta c’erano quelli che denunciavano i problemi e quelli che i problemi dovevano risolverli. Oggi tutti denunciano qualcosa, è il tempo  degli specialisti della denuncia, in ogni caso spetta agli altri risolvere i problemi, il Comune rimanda alla Provincia, la Provincia  alla Regione, la Regione allo Stato, lo Stato alla Comunità Europea. Vi ricordate quelli che incitavano a “liquidare i liquidatori dell’ATO” per “manifesta inadeguatezza e incapacità amministrativa nella gestione dei rifiuti solidi urbani a livello provinciale….ogni giorno di permanenza di questo collegio dei liquidatori al vertice dell’Ato non può che produrre ulteriore danno”? Enzo Cilia, telenova del 23/12/2011. Bene, appena una parte del Collegio di dimise loro con un salto felino vi si intrufolarono, e  ora le cose si sono ribaltate. Secondo Salvatore Garofalo, attuale vicepresidente dell’Ato Ambiente di Ragusa: “E’ veramente penoso dovere constatare il fallimento… adesso c’è il timbro..c’è il bollo…quello che sapevamo da tempo adesso lo sappiamo ufficialmente…le ATO non si possono chiudere perché non ci sono i soldi…la Sicilia difatti è fallita”, E20Sicilia del 18/04/2012. Praticamente sentire questa minchiata ci è costato finora circa 4.000 euro, e siccome sembra che gli ATO dovranno chiudere improrogabilmente entro il prossimo 31 dicembre, spenderemo altri 10.000 euro per sentire qualche altra minchiata del genere. Intanto i rifiuti crescono nelle strade, e diventano montagne sotto il caldo afoso di questo 1° maggio. Certo che…tra il dire e il fare… di mezzo ci sono i rifiuti!

"God helps those who help themselves"


Si è appena conclusa l’assise degli Stati Generali dell’Agricoltura, promossa dal nuovo consiglio di amministrazione di EMAIA in occasione dell’AGREM, la Fiera dell’Agricoltura. Molti i problemi che sono stati posti all’attenzione di alti funzionari, illustri parlamentari nazionali ed europei, poche mi sono parse le risposte, perlopiù concluse entro i ristretti limiti dei partecipanti. Nell’Ancien Regime, gli Stati Generali, composti dalle classi sociali più rappresentative  (nobiltà, clero, terzo stato), si riunivano in casi eccezionali, infatti in 487 anni si riunirono solo 22 volte. L’ultima volta, era il 1789, furono riuniti  da Maria de’ Medici per affrontare la gravissima crisi finanziaria che stava affossando la Francia. Ora gli Stati Generali sono convocati un giorno si e un giorno no, quasi sempre manca il Terzo Stato. Oggi ho letto che a Catania sono stati convocati gli Stati Generali dell’Agrumicoltura per chiedere alla Regione, allo Stato e all’Europa interventi straordinari, sussidi, sospensione delle cartelle esattoriali, blocco dei debiti. Ovunque si assiste ad un continuo rimbalzo di responsabilità, dal Comune alla Regione, dalla Regione allo Stato, dallo Stato all’Europa. E’ l’epoca della politica per slogans,  fondamentale è la creazione dell’evento, dove l’effetto scenico è rappresentativo del tutto, meteorine comprese. Qualunque riflessione o tentativo di approfondimento, nella società degli slogans, appare prolisso, inutile, una perdita di tempo snervante. Nella società mediatica, anche la politica si svolge per sms, quella più impegnata culturalmente si esercita su facebook ove ciascuno, nascosto dietro un nikname, può dare sfogo ad ogni tipo di frustrazione usando il peggio del vocabolario italiano . Tutto ciò accade in un Paese dove un governo di tecnici è stato chiamato a risolvere le gravi emergenze del Paese perché la classe politica è nel caos, paralizzata dagli scandali, screditata, incapace. Le condizioni con cui questo governo sta cercando di risolvere la crisi sono sotto gli occhi di tutti: drastica riduzione della spesa in settori importanti per la vita dei cittadini quali la sanità e la scuola; contenimento della spesa previdenziale; aumento della tassazione a carico dei pensionati e dei lavoratori dipendenti; deregolamentazione del mercato del lavoro. Malgrado la cura da cavallo messa in opera da Monti, i segnali che arrivano dai mercati non sono affatto incoraggianti e i pericoli di un’ulteriore stretta fiscale sono sempre impellenti. La Regione Sicilia versa in una condizione ancora più drammatica, basti pensare che da due anni non riesce a trovare una banca con la quale stipulare un mutuo di 1 miliardo di euro per il ripianamento dei debiti che i Comuni hanno verso le ATO; la spesa improduttiva costituisce ancora la norma dell’azione di governo, e con il pericolo sempre in agguato che il Presidente possa finire in prigione per concorso esterno  in associazione mafiosa, come il precedente. E in attesa che la giustizia faccia il suo corso, i 90 Baroni Parlamentari sono più che mai  impegnati nei bizantinismi della politica siciliana, protesa tutta alla conservazione del sistema di potere e al mantenimento di vecchi e nuovi privilegi per sé, e il seguito di amici e clientele. L’elenco H ne è la drammatica dimostrazione. In una situazione del genere pensare di avere interlocutori che possano seriamente rispondere alle aspettative degli agricoltori è pura utopia. L’unica istituzione che potrebbe venire in soccorso è l’Europa, ma questa minaccia addirittura di riprendersi i soldi già erogati per evidente incapacità del Governo Regionale di spenderli. L’occasione di questa convocazione degli Stati Generali mi ritorna utile per pormi e porre delle domande. Questo modello di sviluppo agricolo incentrato, come ha riferito il Presidente della Vittoria Mercati srl, su una tipologia aziendale che per il 47% ha dimensioni inferiori ad un 1 ettaro, per altro 48% da uno a 4 ettari e per il rimante 7% oltre i 4 ettari, è da considerarsi un modello valido nell’era della globalizzazione? Con quali strumenti si vogliono superare i limiti dell’eccessiva polverizzazione aziendale che è causa primaria dei costi unitari di produzione? Come si vogliono risolvere i problemi relativi alla riconversione delle strutture, all’approvvigionamento delle materie prime, all’energia, ai trasporti, alla ricerca ed alla sperimentazione, alla collocazione dei prodotti sul mercato,alla formazione dei quadri dirigenti? L’aeroporto di Comiso sarà funzionale allo sviluppo agricolo e come si pensa di farlo interagire con esso? Il mercato ortofrutticolo sopravvivrà all’era della Grande Distribuzione Organizzata o dovrà essere riconvertito, e i commissionari dovranno essere pure riconvertiti e come? I consorzi di produttori potrebbero essere una risposta valida per una moderna ed efficiente rete di produzione, ma chi li deve organizzare, gestire, promuovere? E’ necessario un disciplinare di produzione per certificare la qualità, l’origine e la salubrità dei prodotti, ma chi lo deve sostenere e gestire, con quali strumenti e con quali risorse? Il miglioramento delle varietà colturali passa attraverso la sperimentazione e la ricerca, ma chi e come deve fare funzionare il centro di ricerca applicata già esistente in contrada Perciata? Gli immigrati costituiscono una grande risorsa e possono essere funzionali al rilancio delle attività produttive, ma occorre promuovere i loro diritti di cittadinanza, la loro integrazione sociale, la stabilizzazione dei loro rapporti di lavoro, l’adeguamento delle loro conoscenze tecniche, ma chi se ne deve fare carico e come? C’è la necessità,  dunque, urgente, di un progetto organico di riconversione dell’economia della fascia trasformata capace di dare risposte a tutte queste domande. Questo progetto non può nascere senza l’apporto decisivo delle forze produttive, dei lavoratori, di tutti i protagonisti della filiera, i quali sono quelli che al progetto devono dare gambe e cervello. Partiti e forze sociali devono perciò interrogarsi sul loro ruolo, sulla loro capacità di coinvolgere masse di operatori, di traduzione dei bisogni in azioni concrete che sul territorio devono spiegarsi in scelte operative e, quindi, in scelte politiche, conferendo significato di senso al proprio agire. In tale contesto non può non tenersi conto che il 90% delle aziende agricole ha dimensioni inferiori ai 4 ettari e ciò, non da ora ma dai tempi del primo Piano Mansholt, è stato considerato un limite per i fautori della Politica Agraria Comunitaria (PAC), i quali hanno da sempre ritenuto tale fattore una delle cause della marginalità economica di queste imprese, favorendone pertanto le dismissioni attraverso incentivi. Ma mentre nel centro dell’Europa l’esodo dalle campagne è stato assorbito dalla grande industria, da noi l’espulsione dalle campagne di migliaia di contadini significa allargare l’esercito dei senza lavoro con gravissime ripercussioni sul piano sociale. Non si può, quindi, pensare al superamento della crisi, ormai endemica, pensando di applicare i modelli europei senza incidere sulle dinamiche interne allo sviluppo locale. E’ questo il motivo per cui, ormai da anni, esiste una difficoltà oggettiva a rendere operativi in Sicilia i piani di intervento europei con il rischio di perdere i finanziamenti. La strada dell’associazionismo, sempre rinviata e mai percorsa in modo efficace, rimane una scelta obbligata per determinare un ulteriore riscatto dal pericolo del sottosviluppo, ma è una strada che non può essere percorsa senza operare una seconda rivoluzione che, prima di essere economica, è innanzitutto culturale.  Successe a quei tempi che i coloni americani non sapevano come affrontare i loro problemi di sopravvivenza e chiedevano alla madrepatria aiuti e sostegno per promuovere il loro sviluppo economico e sociale. Benjamin Franklin andò spesso a perorare in Inghilterra la causa delle colonie, ma dopo vari tentativi andati a vuoto si rivolse ai propri concittadini scrivendo nel suo famoso Poor Richard's Almanac: “God helps those who help themselves” (Dio aiuta chi si aiuta).

L'Agricoltura ai tempi del ciclone Athos: io speriamo che me la cavo!

Il nuovo anno si è caratterizzato certamente come l’anno delle calamità per l’agricoltura siciliana. Prima i forconi, che con la loro forsennata iniziativa di lotta hanno causato il blocco commerciale della produzione pregiata con danni rilevantissimi per le piccole e medie aziende. Poi il ciclone Athos, che ha distrutto il prodotto nel momento buono della commercializzazione e causato ingenti danni alle strutture. E ancora l’accordo Marocco-UE, capace di penalizzare l’agricoltura delle aree più depresse dell’Europa mediterranea a tutto vantaggio delle multinazionali europee, le quali avranno la possibilità di produrre in Marocco prodotti a basso costo di manodopera e senza particolari vincoli sanitari e doganali. Ciò pone diversi ordini di problemi. Il primo è da ricercarsi nella debolezza della rappresentanza politica dei Paesi meditarrenei in seno alla UE, infatti Spagna, Portogallo, Italia, Francia e Grecia continuano ad agire in ordine sparso, a non fare sistema, lasciando all’Europa continentale la possibilità di tutelare i propri interessi, essenzialmente di carattere speculativo, dietro il paravento dello scopo politico teso ad influenzare i nuovi movimenti libertari del nord africa. In questo modo a prevalere sono politiche prettamente “dirigiste” che non tengono conto del fatto che il peggioramento dell’economia agricola nell’Europa mediterranea non può che causare ulteriori problemi ai fenomeni recessivi che oggi pervadono le economie di questi Paesi con grave rischio di default. Credo che in queste aree sarebbe più facile produrre più PIL investendo e rilanciando l’agricoltura che non puntando su comparti che in queste aree non esistono o sono completamente da inventare. Un altro problema è dato dalla totale incapacità di aggregazione delle aziende agricole e dalla conseguente scarsa influenza sulle scelte di politiche economiche nazionali ed europee, risultando così irrisolti  aspetti fondamentali della politica agraria: l’aggregazione dell’offerta, l’innovazione tecnologica e la ricerca scientifica, il governo del mercato oggi sbilanciato a favore della Grande Distribuzione Organizzata, la formazione degli imprenditori. Un altro problema che ho potuto osservare è dato dalla qualità del ceto politico, in generale, nel quale il mondo agricolo dovrebbe riporre le proprie aspettative e la soluzione dei propri problemi. Quando io ero un giovane militante del PCI, oltre quarant’anni  fa, il Comitato Direttivo del Partito era composto da un centinaio di persone perlopiù in rappresentanza di cinque sezioni stabilmente insediate nel territorio cittadino, urbano e rurale; di queste cento persone oltre il 60% era costituito da braccianti e piccoli coltivatori diretti, i quali riuscivano ad eleggere propri rappresentati in seno agli organismi regionali e nazionali del Partito, ma anche nelle assemblee elettive e parlamentari. Lo stesso non si poteva dire della Democrazia Cristiana, ma sappiamo che l’influenza della Coldiretti in seno agli organismi dirigenti di questo partito era notevole. Inoltre, le organizzazioni di categoria avevano una elevata capacità di incidenza nella formazione culturale e nelle scelte organizzative aziendali, contribuendo non poco a formare una coscienza collettiva circa le prospettive di sviluppo della propria condizione umana e professionale. Altrettanto non si può dire del ceto politico odierno composto perlopiù da un ceto urbano spesso non professionalizzato, scarsamente rappresentativo delle categorie produttive, autoreferenziale e propenso a pratiche clientelari e di lottizzazione delle varie istanze rappresentative. Non è un caso, perciò, che frange del mondo agricolo, escluse dalla rappresentanza politica, tentino di rivendicare, attraverso movimenti spontanei (?) un livello legittimo di rappresentanza, senza però avere la capacità di tradurre tali istanze in un vero e proprio progetto politico.

Restano pertanto irrisolte antiche ed attuali questioni  che essenzialmente sento di potere così riassumere: in Sicilia permane sostanzialmente un ceto politico con prevalente aspirazione clientelare, rappresentante di interessi diffusi, perlopiù espressi da categorie parassitarie di origine piccolo borghese, professionale, pseudo imprenditoriale, o da rendita parassitaria, che occupano spesso spazi colludenti, al confine con altrettanti interessi di chiara origine mafiosa. Questa rappresentanza politica si riconosce in un  blocco di potere trasversale che può contare su una massa considerevole di risorse economiche che vengono ripartite a favore delle proprie clientele in ragione del peso e della rappresentanza che ciascun gruppo, o elemento, in un determinato momento o circostanza è in condizione di garantire. Tale situazione comporta la cristallizzazione delle classi dirigenti, politiche e burocratiche, l’assenza di qualunque progettualità, il permanere di una sostanziale subalternità delle categorie produttive, dilagante fenomeno del disagio sociale, depauperamento ambientale, asfissia delle aspettative collettive.

Nel momento in cui scrivo queste note, in diverse città siciliane si apprestano ad essere celebrati diversi convegni aventi per tema l’Agricoltura. Uno di questi si terrà proprio a Vittoria, un altro si terrà a Taormina organizzato da Confagricoltura, un altro ancora non mi ricordo dove. Tanti sono i nomi famosi che si possono estrarre dai carnet degli ospiti, dal più insignificante deputato regionale al più insigne commissario europeo, per non parlare dei segretari nazionali dei partiti, tutti occorsi al capezzale della grande ammalata. Difficile stabilire quanti di questi sono i medici e quanti i becchini. Ma ciò che conta adesso è che tutti sono presenti, grazie a lui, Hathos! Potenza di un uragano! Senza di lui probabilmente nessuno si sarebbe accorto della malattia grave dell’Agricoltura. Ci avevano provato poche settimane prima i forconi, e malgrado il gran casino di rumori, blocchi stradali e quant’altro, non era successo nulla. Ma Athos ha fatto il miracolo ed ora sono tutti presenti per stabilire la prognosi, formulare la diagnosi, ipotizzare la cura. Alla fine saranno tutti d’accordo su alcuni punti essenziali: l’ammalata è grave, la prognosi rimane riservata, tutti si faranno carico di approntare un protocollo terapeutico, e, stante le attuali prospettive del progresso scientifico e tecnologico, sarà meglio aggiornare la seduta, possibilmente al 2014, dopo tutte le elezioni comunali, provinciali, regionali e nazionali. L’ammalata, intervistata, ha risposto:” Io speriamo che me la cavo!”

Lo Statuto dei diritti dei lavoratori


Ha fatto bene la CGIL a decidere di opporsi alla modifica dell’art. 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Lo Statuto in questi anni ha consentito di riequilibrare i poteri all’interno del luogo di lavoro affidando ad un terzo, il giudice, la facoltà di regolare le ragioni delle parti allorché il contratto che regola il rapporto di lavoro è unilateralmente messo in discussione dal datore di lavoro, introducendo il concetto di giusta causa di licenziamento. Ciò significa che il datore di lavoro può licenziare il lavoratore, ma solo a condizione che ne sussistano le ragioni, le quali sono già previste e codificate dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Occorre, quindi, sfatare il senso comune che vuole che con l’art. 18 non si possono fare i licenziamenti. Altri sono i problemi: chi deve pagare il costo della crisi, come uscire dalla crisi. Gli effetti della globalizzazione sulla capacità delle aziende di competere non sono un fatto che può essere fatto risalire alla bolla speculativa dell’anno scorso, le sue origini risalgono al 1973, all’epoca del primo shock  petrolifero che causò l’improvvisa interruzione di approvvigionamento di petrolio da parte dei Paesi dell’OPEC verso i Paesi occidentali. L’apparire sulla scena mondiale dei Paesi produttori in forma organizzata ha comportato un rivolgimento della situazione economica e politica internazionale. Da un lato i Paesi occidentali hanno dovuto sostenere i costi di un’epocale rivisitazione del modello di sviluppo, dall’altro i Paesi poveri hanno iniziato il cammino per affrancarsi dalle catene dello sfruttamento delle loro risorse e dalla miseria. In Inghilterra cominciò la Thatcher con lo smantellamento dello Stato sociale e un massiccio ricorso alle liberalizzazioni, subito dopo imitata da Ronald Reagan negli Stati Uniti d’America. Ma mentre in questi Paesi i processi di riconversione dell’economia e di contenimento della spesa pubblica furono accompagnati da massicci interventi nell’innovazione tecnologica, nella ricerca e nella formazione, in Italia si è proceduto solo sul versante del contenimento della spesa pubblica e sullo smantellamento dello Stato Sociale, e della privatizzazione dei settori strategici quali l’energia, i trasporti, la telefonia,le poste, senza mai ottenere i risultati sperati in termini di vantaggi per i cittadini quali il contenimento dei costi e il miglioramento dei servizi. Come se non bastasse, non solo il Paese è in ritardo sul fronte dell’innovazione e della ricerca, ma le imprese di punta dell’economia invece di riconvertire gli impianti per adeguarsi ai nuovi standard di qualità richiesti dal mercato globale, hanno preferito la delocalizzazione, mortificando in tal modo ogni speranza di futuro delle nuove generazioni. La cancellazione della scala mobile, la riforma della contrattazione salariale, l’allungamento dell’età pensionabile, la compartecipazione alla spesa sanitaria, l’abolizione del collocamento pubblico (conquistato duramente con il sangue dei braccianti di Avola), l’introduzione di una molteplicità di contratti di assunzione, avrebbero dovuto consentire alle imprese e allo Stato, a fronte di un pesante carico di sacrifici per i lavoratori e le famiglie, di  operare le riforme necessarie per rendere il sistema competitivo ed incentivare l’occupazione. Ma non è successo nulla, così mentre gli altri Paesi sono cresciuti in tutti gli indici di sviluppo (PIL, occupazione, innovazione, competitività), l’Italia ha visto crescere solo gli indici negativi (debito pubblico, disoccupazione, povertà, diseguaglianze, ignoranza). Oggi di fronte al pericolo di default del Paese, si richiedono nuovi sacrifici non solo in termini monetari, ma la parte più retriva del padronato italiano pretende di azzerare la stagione dei diritti dei lavoratori attraverso la soppressione dell’ultima norma rimasta a difendere la dignità dei lavoratori: l’art. 18. Mi ha detto uno pseudo imprenditore: “Ma allora come si fa a liberare l’impresa dai fannulloni per dare lavoro a chi lo merita veramente?”. I fannulloni sarebbero le donne incinte, i genitori che hanno bambini con gravi handicap, i lavoratori che hanno superato i 50 anni, i rappresentanti sindacali, coloro che sono cagionevoli di salute, gli iscritti ai partiti di sinistra (i cosiddetti comunisti). I have a dream: emigrare in un’isola deserta del Pacifico o fare una rivoluzione.