domenica 2 ottobre 2016

Perchè è necessario difendere la Costituzione



E’ la più bella Costituzione del mondo. Lo penso e non finirò mai di pensarlo, perché non esiste una rappresentazione così autentica della democrazia, una carta che racchiude i pensieri più alti cui abbia mai aspirato l’umanità. Le idee cristiane, socialiste e liberali costituiscono i fondamenti della carta costituzionale italiana e su quelle idee si fondano le modalità con cui gli italiani intendono praticare la partecipazione alla vita politica del Paese. Come ha detto il professore Zagrebelski nel dibattito televisivo che lo ha visto contrapposto al presidente del consiglio Renzi, la democrazia come enunciata nella Carta Costituzionale è una forma inclusiva di partecipazione al governo del Paese, una modalità che non esclude, anzi, attraverso il decentramento e le varie forme di articolazione delle istituzioni governative, tende a favorire la più ampia partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. L’idea che la rappresentanza politica che ottiene il maggiore  risultato elettorale è deputata a decidere per tutti, anche se per un periodo di tempo circoscritto, contrasta con l’impianto costituzionale italiano. Il problema non è nuovo se Alexis de Toqueville, fra le figure più apprezzate fra quanti hanno avuto modo di valutare i comportamenti democratici degli individui, ha evidenziato che la democrazia non è solo una forma di governo, ma anche uno stato sociale che ricomprende in sé il costume e la stessa antropologia del modo di essere democratici, perché si fonda sul presupposto dell’uguaglianza delle condizioni e dell’accoglimento delle differenze come valore.
Renzi pone il problema della necessità di pervenire ad un impianto costituzionale capace di determinare un’accelerazione dell’azione di governo ed  imputa all’impalcatura costituzionale, imperniata sul bicameralismo perfetto, i ritardi nella formazione delle leggi. Rivendica, pertanto, il diritto della maggioranza degli elettori di decidere per l’insieme dei cittadini, sottovalutando il punto di vista della minoranza che, in alcuni casi, può essere persino più autorevole e forse anche più adeguato in  determinati contesti. Per raggiungere questo obiettivo, connette la riforma costituzionale con la nuova legge elettorale in modo che nella nuova Camera dei deputati riformata la forza politica che ottiene il 40% dei voti, o che vince il turno di ballottaggio, ottiene la maggioranza assoluta con 340 seggi su 617. Renzi ha maturato questo orientamento all’indomani delle elezioni europee, cioè dopo che il PD ha vinto le elezioni con il 40,08% dei suffragi, pensando di guadagnare lo stesso risultato alle elezioni politiche, convinto che l’azione riformatrice del suo governo avrebbe potuto non solo consolidare ma eventualmente estendere tale risultato. Anche il successo delle elezioni regionali, governate a maggioranza dal centrosinistra, ha contribuito ad ipotizzare una maggioranza significativa del centrosinistra a guida renziana nel nuovo senato, stante che i nuovi senatori saranno espressione delle autonomie locali. Era talmente sicuro di potere raggiungere questo risultato che non ha mancato di legare il suo destino politico all’esito referendario. Ma i risultati dell’azione di governo su cui aveva molto contato, purtroppo non sono confortanti per il primo ministro. Gli esiti del Job Act sono fortemente negativi:  diminuiscono gli occupati, aumenta la disoccupazione giovanile, cresce la precarietà (testimoniata da una gigantesca crescita dei voucher). Anche gli effetti della politica economica sono deludenti: il PIL non cresce,  aumenta il divario Nord-Sud, il sistema bancario risulta sempre più incapace di favorire gli investimenti, i consumi consolidano un dato negativo. A questo punto  il premier si trova davanti ad uno scenario nel quale è difficile conseguire il risultato sperato, i sondaggi ci dicono di un testa a testa tra PD e Movimento 5stelle. Senza l’intervento dell’Europa per rendere più flessibili i conti dello Stato, cioè più debito pubblico, l’idea di potere ottenere consenso attraverso la distribuzione di altri bonus si infrange sul niet categorico di Angela Merkel. In definitiva il sarto Renzi ha lavorato per la vigna del Re, imbastendo un abito su misura per Grillo, il quale, stante ai sondaggi, molto realisticamente potrebbe essere il futuro primo ministro. Non voglio soffermarmi oltre sulle conseguenze di questa eventualità, ma soltanto immaginando i possibili scenari post referendari si può cogliere la delicatezza della materia riguardante la riforma costituzionale ed il varo della nuova legge elettorale.
Non vi è nessun dubbio che da quando in occidente, sull’onda della crisi petrolifera, hanno avuto il sopravvento le idee della Tacher e di Reagan, generatrici di politiche fortemente liberiste, è aumentato il fastidio per i processi democratici, privilegiando la ricerca di soluzioni capaci di consentire la rapidità delle decisioni. Tutto ciò non può non interessare le modalità di funzionamento delle istituzioni governative, le quali sempre più dipendono da ristretti circoli economici e finanziari che agiscono come sovrastrutture all’interno delle istituzioni quali la Commissione europea e il Fondo Monetario Internazionale. Non a caso le nostre rappresentanze politiche sostengono a piè sospinto che le cosiddette riforme sono richieste dalle istituzioni europee ed internazionali. Occorrono al turbo capitalismo istituzioni nazionali a sovranità limitata, governate da politici che devono decidere in fretta senza perdere tempo nei lacci e laccioli della democrazia rappresentativa, pretendendo una democrazia economica al posto di quella politica, maggioranze ottenute da piccole lobby capace di attrarre consenso in virtù di grandi disponibilità finanziarie per catturare l’attenzione di masse sempre più disorientate e private di poteri reali di decisione. Tutto ciò deve fare riflettere sull’opportunità di decidere, nell’attuale contesto mondiale,  su modifiche così importanti all’assetto istituzionale del Paese e delle modalità con cui si perviene alla formazione della rappresentanza politica. La Globalizzazione è ancora un processo non concluso, dominato da ristretti e potenti gruppi d’interesse, mentre interi popoli sono interessati da nuovi ed inimmaginabili scenari, tra venti di guerra e conflitti etnici. La tendenza è quella di erigere muri attorno ai privilegi di una ristretta casta, della quale non fanno più parte i ceti medi, costringendo il resto del mondo, obbligato in una estrema periferia materiale e culturale, a sopravvivere in un nuovo medioevo tecnologico. E’ compito della politica  individuare strategie in grado di invertire la tendenza, e questo impegno non può che essere assunto da quelle forze sinceramente ispirate da ideali democratici. Occorre ricondurre tutte le periferie del mondo al centro, ridando dignità all’uomo rendendolo protagonista del proprio destino. Una rappresentazione icastica di questa prospettiva l’ha tracciata la Chiesa Cattolica nel momento in cui ha chiamato sul soglio pontificio un uomo proveniente dall’estrema periferia del mondo, stravolgendo una prassi che per millenni ha visto prevalere i candidati provenienti dalla Curia romana, e tutto ciò spiega che lo stesso possono fare le istituzioni civili semplicemente cambiando il loro punto di vista. Ed il mio punto di vista, per le ragioni così enunciate,  è votare NO al prossimo referendum costituzionale.

sabato 18 giugno 2016

Domenica? Andrò a votare.


Domenica andrò a votare, sento di doverlo fare per un dovere civico, perché Vittoria non può morire, perché vanno tenuti separati i due livelli, quello politico e quello giudiziario. La Giustizia avrà avuto, almeno lo spero, dei buoni motivi per irrompere in modo così prorompente nel momento in cui il popolo esercita un diritto fondamentale quale quello di scegliere il proprio sindaco, ma ciò non deve togliere nulla alla politica che deve continuare il suo corso e non sottrarsi ai propri doveri. Probabilmente esigenze investigative hanno reso necessario un intervento mentre la campagna elettorale è in corso, proprio per cercare conferma di talune pesanti ipotesi accusatorie. C’è sempre tempo, qualora dovessero essere confermate le accuse rivolte ai candidati, trovare rimedi secondo quanto previsto dalla legge. Vado a votare dopo avere seguito la campagna elettorale e valutato i programmi, le risorse umane che si intendono utilizzare, le concrete possibilità attuative, le necessarie mediazioni ed interlocuzioni che ciascun candidato può realisticamente utilizzare per raggiungere i propri obiettivi, l’esperienza necessaria per guidare una macchina amministrativa farraginosa e molto complicata da gestire. In ultimo ho sentito questa sera i due candidati esporre in televisione i propri progetti. Ho trovato Giovanni Moscato molto maturato, evidentemente l’esperienza consiliare è stata per lui molto significativa e intercetta oggi la voglia di cambiamento di vaste aree del mondo giovanile che aspira al cambiamento, ma non c’è quella rottura, pur anche significativa, con i retaggi e quelle nostalgie verso un passato che la maggioranza degli italiani ha definitivamente cancellato e sepolto. Quei saluti romani in piazza avrebbero richiesto non un banale compiacimento, ma una risoluta stigmatizzazione, proprio a segnare quella rottura necessaria e pur pretesa ed ostentata con la scelta di abbandonare i simboli di partito e preferire le liste civiche. Anche il programma non mi è parso adeguato ai profondi cambiamenti di cui il territorio necessita per rispondere alle nuove sfide globali. Ciò, a mio avviso, è dovuto ad una conoscenza superficiale delle dinamiche economiche e sociali che sottendono alla grave crisi che, dopo anni di relativa espansione, oggi interessa l’intera economia cittadina. Manca il progetto per una Città nuova e manca la designazione dei protagonisti capaci di rendere attuabile il progetto, cioè gli agenti del cambiamento. Cambiare il regolamento del mercato è un falso problema, può servire solo a rendere legale ciò che legale non è. Se non si capisce che il Mercato di Vittoria è un retaggio del passato e che la commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli necessita di un approccio moderno in sintonia con le nuove rotte commerciali globali,  diventa velleitaria ogni aspirazione al cambiamento. Si può cambiare, ma a Vittoria occorre proporre un progetto capace di coinvolgere migliaia di produttori che innanzitutto devono sapere vincere la propria inerzia e la loro naturale resistenza al cambiamento. Vittoria ospita nel proprio territorio più di ottomila immigrati e non sono fantasmi, sono cittadini che danno il proprio contributo alla crescita di questa Città. Bisogna pur sapere se entrano, ed in che modo, dentro le politiche di sviluppo. Il Piano regolatore, i servizi sociali, le politiche per l’impiego, le forme del lavoro, le necessità abitative, non sono aspetti su cui è possibile sorvolare. Ecco, a mio avviso la destra a Vittoria non ha ancora maturato un’idea di governo per questo territorio, per questa gente, per la nostra gente. Aiello, nei confronti del quale personalmente ho sempre manifestato critiche severe, mi sembra, in mancanza di alternative, un profondo conoscitore della macchina amministrativa e rappresenta tuttora, malgrado qualcuno lo definisce un “auto-necrofago”, una larga parte del mondo produttivo di cui conosce bisogni ed aspirazioni. Il suo programma mi è parso minimale ma fortemente caratterizzato da aspetti concreti che riguardano il normale funzionamento della macchina amministrativa, ciò di cui ha bisogno Vittoria in questa fase, una ripartenza,  a cominciare dai servizi essenziali: dalla pulizia, alla riparazione delle buche stradali, dall’erogazione dell’acqua, alla manutenzione delle scuole, fino alla riorganizzazione di fiere e mercati e alla revisione del PRG. Giusto il tempo per consentire al deserto della politica di far rinascere un fiore, quella classe di giovani dirigenti avveduti e lungimiranti cui affidare il destino di questa Città.

sabato 28 maggio 2016

Riflessioni per una nuova prospettiva di cambiamento.


Il mondo sta cambiando velocemente. Tutto quello che era, (valori, ideali, appartenenze), oggi è liquido, come sostiene il sociologo Zygmut Bauman, ed i giovani nella società liquida in cui vivono non trovano più le certezze e i validi riferimenti che nelle passate società traghettavano le generazioni da un sistema ad un altro. Nel mondo in trasformazione le istituzioni che riescono ad organizzarsi meglio e ad adattarsi ai nuovi sistemi si sviluppano e prosperano nelle nuove condizioni. Questo processo si chiama resilienza, ma Charles Darwin ne aveva intuito il senso già nella sua Teoria dell’Evoluzione. Per molto tempo si è creduto che la capacità di sopravvivenza fosse prerogativa dei più forti, ma si è visto che i più deboli riescono ancora meglio attraverso la collaborazione, molti insetti infatti sopravvivono sulla terra da milioni di anni, come le formiche e le api che costituiscono un esempio di vita organizzata intelligente, al contrario dei dinosauri che si sono estinti. Gli umani sono sopravvissuti per la loro tendenza a creare comunità e a dotarsi di organizzazioni per il soddisfacimento dei loro bisogni, mentre la cooperazione è stata fondamentale per lo sviluppo delle facoltà intellettive e per il benessere sociale. I conflitti hanno segnato sempre occasioni di regresso e di stagnazione a causa dei sentimenti di angoscia e di paura che si sono generate nelle popolazioni, oltre alla perdita ingente di risorse umane e materiali. La pace, invece, ha segnato da sempre periodi di ricchezza e di progresso spirituale e materiale. Tutto ciò ormai è iscritto nel patrimonio genetico dell’umanità ed è a tutti evidente che le nuove generazioni, cresciute nella pace e nel progresso, rifuggono dalla guerra. Il mondo della post modernità che noi stiamo vivendo, con grande sofferenza perché ci è ancora difficile coglierne le dinamiche, è un mondo che avrà successo soltanto se le comunità sapranno generare empatia, cioè lo sviluppo di nuove attitudini capaci di farci sentire in armonia con gli altri, cogliendone i sentimenti, le emozioni e gli stati d'animo, e,  quindi, in piena sintonia con ciò che ciascuno vive e sente. La civiltà  dell’empatia è la prospettiva tracciata dall’economista americano Jeremy Rifkin per la costruzione della coscienza globale nel mondo in crisi. In questa nuova dimensione del mondo nel quale il pensiero è sempre più pensiero globale, capace, cioè, di superare le barriere regionali e nazionali, l’agire umano si manifesta come la capacità locale di rispondere ai nuovi problemi del mondo, per cui la nuova dimensione umana dovrà articolarsi sempre più nel senso del pensare globale e dell’agire locale. La conseguenza di questa nuova prospettiva, che a ragione presuppone un nuovo umanesimo capace di influenzare la vita dell’uomo nelle sue articolazioni sociali, produttive, intellettuali, presuppone uno stravolgimento delle istituzioni a tutti i livelli, ed una nuova necessità di competere empaticamente. In questa nuova dimensione umana, le comunità non si scontrano, ma si cercano per risolvere vicendevolmente i propri problemi ed insieme prosperano, la competizione allora favorisce chi riesce a collaborare meglio e non chi prevarica e uccide di più. Occorre dare vita, allora,  ad un nuovo tipo di istituzione locale, il Nuovo Comune Democratico, un’istituzione che dovrà adeguarsi a questa nuova prospettiva globale  per rispondere ai nuovi bisogni con strumenti capaci di promuoverne la presenza nel mondo. Il Nuovo Comune Democratico assume su di sé il compito di sostenere i propri cittadini, nelle varie articolazioni produttive, intellettive, sociali, entro la nuova dimensione globale per competere empaticamente. Per il raggiungimento di questo obiettivo la nuova istituzione dovrà necessariamente ristrutturarsi secondo logiche organizzative adeguate alle nuove esigenze. Attardarsi nella riorganizzazione degli uffici e dei servizi estende ulteriormente il gap che divide  le aree più depresse dalle aree più sviluppate. Nell’era della conoscenza,  una nuova leva di lavoratori, i nuovi operai del sapere, dovranno subentrare agli impiegati amministrativi nell’ambito di  servizi capaci di rispondere ai nuovi bisogni dei cittadini. Molti uffici, ormai residui del vecchio Stato ottocentesco, preposti più al controllo sociale che non alla promozione delle libere attività umane, vanno soppressi o accorpati, per dare spazio ad uffici in grado di promuovere più capacità organizzativa, nuove forme associative, idee di sviluppo, cooperazione con altri territori, impulso alla conoscenza, inclusione sociale, collaborazione intergenerazionale, nuova logistica, ricerca scientifica e tecnologica, nuove attività produttive, formazione culturale e professionale. L’Ente Locale diventa così il centro propulsore di tutte le attività umane del territorio ove il governo si identifica con la partecipazione attiva dei cittadini. Il Nuovo Comune Democratico fornisce l’impulso per una nuova riconversione produttiva. Terra, mare, cultura costituiscono le direttrici verso le quali muove un nuovo modo di fare economia. Nelle campagne occorre portare più conoscenza, più tecnologia, più cooperazione, nel pieno rispetto della tradizione e della salvaguardia ambientale . L’individualismo è stato considerato il peggior difetto dei nostri contadini, ma non è vero. L’unità produttiva familiare nel nostro comprensorio è stata capace di coniugare solidarietà e spirito di sacrificio, dedizione al lavoro e voglia di crescere, conservazione dei propri valori identificativi. Oggi questa realtà familiare va tutelata e salvaguardata, ma va dotata di strumenti che l’aiutino ad essere competitiva entro un contesto molto più vasto come quello globale, ciò significa che va accorciata la filiera produttiva per ricondurre tutte le attività entro i confini territoriali:  ricerca, produzione, trasformazione, marketing, logistica, nuove rotte commerciali. Il prodotto deve potersi identificare con il territorio ed il territorio garantire qualità, salubrità, benessere alimentare, giusto valore per chi vende e per chi acquista. La nuova occupazione nasce e si sviluppa entro questa visione della realtà che ci circonda. Il Nuovo Comune Democratico è il centro propulsore per la nuova riconversione produttiva che segue quella serricola, offrendo  nuovi servizi, coordinando tutti gli attori della filiera, contrattando con la Regione nuovi livelli di intervento nell’ambito della programmazione regionale e comunitaria, rappresentando il territorio ed interloquendo con soggetti istituzionali di altri territori interni ed esterni all’Europa. L’agricoltura rimane l’asse portante dell’economia, ma interagisce con attività industriali per la trasformazione dei prodotti, promuove il commercio, sostiene la ricerca e la formazione nell’ambito della programmazione promossa dal Nuovo Comune Democratico. Le attività industriali, nell’ottica di uno sviluppo multicentrico, debbono trarre dall’agricoltura la materia prima per le necessarie trasformazioni, la produzione di licopene dal pomodoro e di altre sostanze  vegetali, ad esempio, possono segnare l’inizio di un nuovo processo di sviluppo, stabilendo inediti rapporti tra agricoltura ed industria di trasformazione.  Per raggiungere questi obiettivi non è sufficiente aspirare agli aiuti comunitari, occorre reperire nuove risorse finanziarie nel mercato dei capitali, ma per riuscirci è necessario che il territorio diventi attrattivo. Un territorio attrattivo è un’area a criminalità zero, è un’area dove i servizi funzionano,  dove la pubblica amministrazione è trasparente,  dove i cittadini sviluppano e difendono un alto grado di civiltà. Se i cittadini pretendono il lavoro, allora devono curare il decoro delle loro città, devono combattere il crimine denunciando ed isolando i criminali, devono mandare i figli a scuola, non devono mai smettere di acculturarsi e di migliorare la propria professionalità, devono partecipare alla vita politica della propria comunità, devono contribuire con le proprie azioni al benessere collettivo. E' questa la nuova sfida. Il Nuovo Comune Democratico favorisce la crescita civile dei propri rappresentati pretendendo dai più abbienti il giusto tributo ed aiutando i più deboli a recuperare i propri ritardi materiali e culturali, nello stesso tempo esercita con rigore l’applicazione delle norme. Un territorio attrattivo, anche per un ipotesi di sviluppo turistico, necessita di servizi che funzionano, dall’igiene e pulizia urbana ai trasporti, dall’accoglienza agli eventi culturali, dagli spazi ricreativi alla valorizzazione delle risorse naturali ed ambientali. Nel Nuovo Comune Democratico i processi risultano invertiti: il Comune non è il luogo dove una classe dirigente esercita il proprio governo sui cittadini, bensì il luogo dove i cittadini utilizzano gli strumenti della partecipazione per raggiungere i propri obiettivi di crescita materiale e culturale servendosi di una classe dirigente esperta, dotata di competenze culturali e professionali, capace di agire in maniera efficace ed efficiente. Non solo, nel Nuovo Comune Democratico la partecipazione ed il confronto non sono considerati una perdita di tempo. Tutto questo è resilienza, lo sanno bene i vittoriesi che nei secoli hanno fatto dell'innovazione una loro peculiare prerogativa.