Mi sono chiesto se le dimissioni
del Governo Lombardo potrebbero essere un’opportunità per la Sicilia. La Storia
ci insegna che qualche volta dalle macerie sorgono occasioni e sviluppi
imprevisti, ma dopo queste prime battute di campagna elettorale, mi sono
convinto ancora di più del fatalismo di noi siciliani.
Ancora una volta altri hanno deciso per noi, in luoghi lontani. I presidenti
candidati che raccolgono allo stato i maggiori consensi, Musumeci e Crocetta,
sono stati scelti a Roma, il primo da Berlusconi, il secondo da Casini e da Bersani.
C’è da credere, pure, che dopo la defaillance di Fava, la soluzione della
sindacalista FIOM sia stata concepita altrove. Gli altri sono il prodotto
tipico di un certo ribellismo isolano, mai produttivo di alcunché. E’ la storia
delle classi dirigenti di quest’isola sfortunata, pronte a prostrarsi pur di
garantirsi meschini privilegi e laute prebende. Una massa acritica ed un’elite
di furbi costituiscono la strana mistura che ci fa tanto “brutti, sporchi e
cattivi”, ancora una volta il solito film che sa tanto di dejavu. E a livello
locale lo schema non è cambiato, la stessa classe dirigente che si era
prostrata verso Roma, ha preteso la stessa prostrazione dei più piccoli
notabili locali, decidendo le candidature secondo il peso delle signorie
palermitane. Le primarie, la partecipazione degli iscritti e degli elettori, i
programmi: cose che si scrivono negli statuti, per la plebe. La Sicilia, così,
non va avanti, anzi sembra rovinosamente precipitare indietro. Qualcuno ha
sostenuto che è di quattro secoli il gap socioeconomico tra la Sicilia e il
resto dell’Europa più progredita. E forse è vero, considerato che nessuna
rivoluzione ha inciso nell’Isola come negli altri Paesi. Né la rivoluzione
liberale francese, né la rivoluzione industriale novecentesca, né la
rivoluzione digitale di oggi ha prodotto cambiamenti radicali se la struttura politica
e morale, ancora oggi, si ispira alle funzioni tipiche del medioevo, qui dove,
per una maliziosa furbizia della storia, nacque il primo parlamento del mondo.
Il trasformismo sembra irrimediabilmente il metodo più congeniale ai politici siciliani.
Ex galeotti, ex corrotti, ex ladri, ex inutili, di fronte al più grande
fallimento politico che la Storia della Sicilia abbia mai registrato (un ex
presidente in carcere, un altro inquisito e dimissionario), oggi ritornano con
una faccia, da puttana?, non c’è altro termine, per ribadire che la Sicilia ha
bisogno del loro insostituibile contributo (sic!). Ma ciò è tanto più grave allorché
forze mature per segnare l’era del cambiamento allestiscono scialuppe per
raccogliere naufraghi di ogni tipo con l’intento, manifesto, di vincere a
qualunque costo una partita che sembra truccata in partenza. In un articolo
apparso su la Sicilia dello scorso mese di agosto, il professore Francesco
Renda, dopo un’analisi appassionata della situazione politica siciliana,
auspicava un intervento decisivo di Roma per dirimere la complicata matassa
della politica siciliana, non intravedendo una soluzione facile di fronte alla
complessa vicenda regionale. Ma se Sparta piange Atene non ride, tant’è che
tutti gli osservatori internazionali continuano ad auspicare il
commissariamento del governo italiano anche per la prossima legislatura. Penso
che la soluzione giusta per la Sicilia, a questo punto, non sarebbe il
commissariamento della Regione, un’ulteriore
umiliazione per i siciliani che di umiliazioni ne hanno già subite tante, ma
una nuova fase costituente. Basterebbe che tutti gli uomini e le donne di buona
volontà, elettori ed elettrici, trascendendo le proprie aspettative, anche le
più importanti, quale potrebbe essere la promessa di un posto di lavoro,
spulciando la lista del partito cui credono di potersi affidare, alla fine
scelgano un uomo o una donna (le donne sarebbero ancora più affidabili, perchè sono
state poche quelle che hanno sperimentato la mala politica, sempre considerando
il caso della Polverini un caso isolato), sulla base dell’onestà, della competenza,
del rigore morale, del programma, ma non il programma intriso dei soliti
slogans del tipo incentivare l’occupazione, favorire lo sviluppo dell’agricoltura
e dell’artigianato, lotta alla mafia, perché
è da cinquant’anni che dicono le stesse cose. Un’Assemblea Regionale composta
da onesti e capaci, potrebbe fare veramente la rivoluzione, del tipo: tutti i
raccomandati, a casa! Tutti i ladri, a casa! Tutti gli incapaci, a casa! I
soldi, a chi lavora! Le tasse, a chi ha rubato di più!I mafiosi, in galera! E
cosi via continuando… senza timore! Sogno.
Mi piace, per finire, proporre questa riflessione
di Leonardo Sciascia tratta dalla famosa intervista alla giornalista francese Marcelle Padovani da trascrivere su un foglietto da leggere dentro la cabina elettorale:
“La particolarissima viscosità della storia siciliana la si deve anche al fatto
che qui si è sempre sperato in cambiamenti che venivano dal di fuori e
dall’alto: ogni volta che un viceré lasciava Palermo, in tutti i quartieri
della città si faceva festa, perché si pensava che il nuovo sarebbe stato
migliore del precedente e che avrebbe finalmente apportato il cambiamento.
Nessuno tuttavia pensava a rovesciare l’istituzione, le plebi essendo
perfettamente avvezze a quest’idea del mutamento che scende dall’alto. (…) La
roba, che può essere terra, casa, stoviglie, biancheria, animali, provviste,
sembra sia solo casualmente fonte di reddito; non la si utilizza, la si lascia
dopo morti: è legata ai sentimenti che si nutrono per la famiglia, al timore
per il futuro della famiglia e alla presenza della morte. Più aumenta la
ricchezza, più aumenta la quantità di quel che lasceremo alla nostra morte, e
più la nostra stessa morte aumenta e si amplifica… Il ritmo dell’accumulo come
ritmo di morte… (…) La terra sotto il sole non è mai sicura, le disgrazie, o il
vicino, possono portartela via, bisogna vigilare fino all’allucinazione, così
come è, meglio vigilare sui membri della famiglia tenendoli sotto la propria
ala. Che cosa può capitare in realtà a qualcuno che lascia, anche
provvisoriamente, la sua casa? Può venire derubato, rapinato, oltraggiato, può
perdere l’onore, la vita. Il siciliano vive tutti insieme questi sentimenti
sotto la tonalità ossessiva del timore”. E votare, per una volta, senza timore.