sabato 16 giugno 2012

Il Piano Regolatore Generale tra passato, presente e futuro.



Il Piano Regolatore Generale è un progetto di Città. Con l’avvento della Rivoluzione Industriale, che ha prodotto l’esodo di milioni di contadini dalle campagne verso le aree dove sorgevano le industrie, questo strumento è diventato importante per evitare il caos e disciplinare la convivenza tra gli uomini e le loro attività. Il PRG è uno strumento sospeso tra passato, presente e futuro; presuppone, perciò, un metodo di indagine volto a comprendere le dinamiche sociali che sono state alla base dell’evoluzione sociale ed economica di una determinata comunità, ne interpreta le criticità e costruisce il futuro di quella comunità, anche alla luce di ciò che accade nel mondo, cercando di anticipare tendenze, esperienze; in questo senso un PRG è anche profetico per la collettività. Quando nel 1975 ho avuto l’opportunità di conferire l’incarico di redigere il nuovo PRG di Vittoria al Professore Giuseppe Susani, sono rimasto colpito dalla metodologia che intendeva seguire per progettare il nuovo strumento urbanistico. Innanzitutto parlare con la gente per renderla partecipe, incontrare le categorie produttive per coglierne progetti e prospettive di sviluppo, riferirsi al mondo della cultura e dei giovani perché il futuro gli apparteneva. Parlare con i cittadini era per Susani fondamentale. Fino ad allora l’urbanistica era stata una disciplina per addetti ai lavori: politici, tecnici, funzionari pubblici,  speculatori e proprietari fondiari. L’oggetto era come fare soldi a palate senza nessun rischio. D’altra parte, a Vittoria, il PRG redatto dagli architetti Ugo e Verace, era stato emblematico di un certo modo di procedere. Infatti aveva previsto sventramenti in gran parte della città e del suo centro storico, strade larghissime, grattacieli. La filosofia che lo ispirava si incentrava sul nuovo sviluppo dell’agricoltura che come un nuovo eldorado si accingeva a cambiare la vita dei vittoriesi, insomma si sognava la California.  Un piano regolatore, quello di Ugo e Varace, che per lunghi anni era rimasto “in itinere”, sospeso tra Vittoria e Palermo, veniva continuamente bocciato e riproposto e, nel frattempo, intere aree della città venivano lottizzate abusivamente, il Forcone e il Talafuni, dove nuclei di famiglie provenienti dalle vicine Gela e Niscemi, oltre ai braccianti senza terra locali,  trovavano alloggio in case costruite senza alcun criterio se non quello di soddisfare l’esigenza dell’abitare a costi accessibili, con le cambiali. Alla prima riunione del Consiglio Comunale durante la quale furono spiegate le ragioni per cui era stato deciso di chiudere con il piano Ugo e Verace e conferire il nuovo incarico all’equipe del Prof. Susani, uno degli speculatori più in vista della città, presente in aula, mi apostrofò così: “Sinnucu, vidissi ca u Pianu Regulaturi a Vittoria l’ammu fattu nuiatri, e puri li casi popolari ammu fattu. Vuiatri politici sapiti fari sulu paroli”. Si riferiva all’epoca in cui erano sorti quartieri senza strade asfaltate, senz’acqua e fognatura, senza scuole in un brutto momento per la città che aveva visto la sinistra, dopo tanti anni al governo, finire all’opposizione. Con il conferimento dell’incarico all’equipe del Professore Susani, Vittoria, dove nel frattempo ritornava al governo una giunta di sinistra, intraprendeva un nuovo cammino per avviare il risanamento dell’abusivismo e progettare servizi e infrastrutture per il suo sviluppo. Quando Susani parlava di Vittoria suscitava nell’ascoltatore un’emozione, in un certo senso ci rendeva protagonisti, ci riconsegnò l’orgoglio di essere protagonisti e ci fece prendere coscienza della nostra “diversità”. Il nuovo progetto di città si propose, dunque,  di valorizzare quell’ordine naturale che aveva contraddistinto lo sviluppo urbano fin dalle origini, adeguando il senso dell’abitare dei vittoriesi al nuovo ciclo di sviluppo, ma senza stravolgimenti, soltanto reinterpretando il presente apprendendo dal passato stili e modi di vita che prima erano stati della “civiltà del vino” e che adesso si riferivano alla “civiltà delle serre”, ma che sostanzialmente si incentravano sull’affermazione della piccola e media azienda agricola e sulle attività industriali e artigianali che ruotavano attorno allo sviluppo dell’agricoltura e dell’edilizia. Era forte in Susani il concetto di comunità, per cui anche la nuova edilizia che avrebbe dovuto soddisfare i bisogni abitativi dei ceti urbani popolari era stata “disegnata” secondo una logica di condivisione di spazi aperti e servizi per giovani ed anziani, né è testimonianza l’area di Fanello che non ha trovato, nel prosieguo, per incuria, il naturale sviluppo e consolidamento infrastrutturale risultando, così, un ghetto isolato e abbandonato. Per Susani l’agricoltura vittoriese aveva subito processi storici ciclici, ne è testimonianza un avvicendamento colturale che va dalla coltura dei cereali a quella del vino, dagli ortaggi in pieno campo ai primaticci delle serre e dei fiori, ma aveva anche “previsto” l’esaurimento dei ciclo delle colture in serra, la scolarizzazione di massa indotta dalle nuove disponibilità economiche, l’arrivo di altri immigrati attratti dal nuovo benessere economico e sociale. Per questo motivo ci invitava a riflettere su altre possibili direttrici di sviluppo, ma non alternative a quello agricolo bensì complementari, muovendo dall’assunto che i vittoriesi, lungo la loro storia, avevano sempre fatto riferimento alle risorse naturali, l’avevano dimostrato quando era stato rinvenuto il petrolio a Buonincontro in territorio di Vittoria allorchè, di fronte all’esultanza di taluni che gridavano all’”oro nero”, avevano scelto l’”oro verde”, dimostrando, ancora una volta, di essere un popolo lungimirante.
Susani pensava al centro storico e al mare come risorsa, la cui usufruizione doveva integrare il reddito agricolo e, nel contempo, doveva dare sbocco occupazionale ad una nuova generazione di giovani che avevano scelto di studiare e di specializzarsi. Né risultò uno studio della costa e un disegno di sfruttamento che trascendeva, a tratti, nella maniacalità.  Durante l’elaborazione del Piano mi disse: “ Guarda che ho disegnato le specie botaniche più adatte al clima di questo territorio, bisogna fare rivivere la flora e la fauna tipiche delle dune sabbiose”.
Ho letto la relazione di accompagnamento della variante al PRG in discussione in questi giorni e debbo dire che non ho provato nessuna emozione. Sono passati più di trent’anni dagli studi di Susani sul territorio di Vittoria. Sono stati anni che hanno visto il mondo cambiare molto velocemente. Prospettive economiche, stili di vita, rivolgimenti sociali, avrebbero dovuto indurre i nuovi progettisti ad una riflessione più attenta ed accurata. Partecipazione non significa notificare ai cittadini delle scelte che sono state già compiute, ma ascoltare bisogni, aspettative, suggerimenti, in modo da pervenire ad un risultato condiviso. Il Piano regolatore di una città e come una patente di guida collettiva per navigare con consapevolezza lungo un percorso di sviluppo economico e sociale, se la patente ce l’hanno solo alcuni i risultati sono solo per loro, agli altri resta soltanto il “privilegio” di prendere la “multa”, ovvero di subire le scelte di una ristretta cerchia di affaristi secondo la logica del “munnu ‘a statu e munnu è”. L’unica novità, che a me suscita non poche perplessità, è data dall’introduzione del meccanismo della perequazione. Si tratta di un metodo che ha solo pochi e molto discutibili riferimenti normativi, che nei fatti non prevede e non decide nulla, ma semplicemente rinvia a valutazioni che saranno fatte in futuro dal Sindaco in accordo con i privati ai quali sarà chiesto di rinunciare ad una parte delle loro proprietà per vedere riconosciuto il cosiddetto “ius edificandi”. Milioni di metri quadrati lasciati al “libero arbitrio” di amministratori e affaristi di ogni genere, tanto da definire il Piano, fin dalle premesse della relazione di accompagnamento, il “Piano del Sindaco”. Così, un domani,  potremmo ritrovarci con un nuovo Vito Ciancimino e la città aperta al “sacco” cementifero. Gli attuali amministratori, giustamente, fanno osservare che l’attuale vincolo opposto sulle aree da destinare ad opere e servizi pubblici, non resiste più, prima perché la legge ha imposto vincoli per periodi più ristretti, poi perché la pubblica amministrazione non ha risorse per procedere alle espropriazioni con la conseguente paralisi nella realizzazione delle opere pubbliche. Tutto vero, e la perequazione, in paradiso, potrebbe essere la soluzione più idonea stante che tra i Santi si presume l’assenza di qualunque tentativo di truffa o di speculazione. A meno che non si riescano ad invertire i termini della questione: perequazione si, ma quale? Perequazione a priori o perequazione a posteriore? La perequazione per il “Piano del Sindaco” o la perequazione per il “Piano dei Cittadini”? Una perequazione a priori significherebbe decidere da oggi, con il contributo dei cittadini e delle forze sociali, cosa costruire, dove costruire, a quali condizioni costruire, aprendo davvero una stagione di partecipazione e di condivisione delle scelte, con un’operazione trasparenza, ricevendone il vantaggio di disporre gratuitamente di aree per servizi e infrastrutture e definendo da subito limiti e condizioni entro cui i proprietari terrieri potranno ottenere il diritto all’edificazione. Una perequazione a posteriori, invece, significa definire con un colpo di matita quali sono le aree oggetto della perequazione ( in pratica quasi tutta la città così non si nega niente a nessuno) e rinviare il tutto a dopo, a probabili o improbabili “affari”, a seconda delle forze che sapranno influenzare le scelte amministrative, che possono anche essere di tipo trasversale secondo il principio “picca picca, ma ci nn’è pi tutti”. C’è un altro aspetto di questa vicenda che non convince. La proprietà fondiaria a Vittoria ha subito negli anni una notevole parcellizzazione per cui, a differenza di altri contesti, qui ci troviamo di fronte ad una moltitudine di piccoli proprietari. Ora l’istituto della perequazione prevede che i proprietari interessati dalle aree di nuova espansione debbono accordarsi circa i criteri di ripartizione degli oneri e dei supposti profitti in modo da realizzare l’equa ripartizione che è la base dell’istituendo metodo perequativo. Ma è possibile immaginare come possa realizzarsi tale accordo, quando è risaputo che nemmeno in un condominio di 10 persone a volte si riesce a trovare l’accordo per sostituire una caldaia?

Un altro problema riguarda l’assetto dell’economia agraria, oggi in fase di riconversione produttiva e commerciale, di cui si fa solo qualche accenno. I progettisti, infatti, sembrano rapiti dalla prospettiva aeroportuale e dalle conseguenti relazioni logistiche. Ma ancora nessuno ci ha spiegato, nemmeno l’On. Digiacomo, chi sono i passeggeri attesi dopo lo startup dell’aeroporto, che ci faranno a Vittoria, dove saranno alloggiati e di quali servizi usufruiranno. Per finire vorrei parlare dei fantasmi che girano per Vittoria e dei quali i progettisti, giustamente, non si sono accorti, cioè degli oltre ottomila cittadini extracomunitari che a Vittoria lavorano, mandano i figli a scuola, aprono attività commerciali, costituiscono società ma che nessuno vede e sente, oppure si vedono o si sentono quando il Presidente della Repubblica scopre Samar e le conferisce il titolo di Alfiere della Repubblica, cosa della quale la città di Vittoria può ritenersi fiera, ma a condizione di sapere dare una logica e conseguente prospettiva di civile integrazione a questi suoi nuovi figli.
Un Piano Regolatore Generale da rifare, e presto.

Intervista sul PRG di Vittoria su E20Sicilia


 
 
 
 
 
Il commento su "La Sicilia"
 
 



Nessun commento:

Posta un commento