martedì 4 dicembre 2012

Bersani, le favole,la sinistra e i disconnessi virtuali


Bersani ha vinto le primarie del centrosinistra. Credo che si tratta di un risultato importante per il centrosinistra e per l’Italia. Adesso il Paese ha un sicuro punto di riferimento, in altri tempi si sarebbe detto dell’immaginazione al potere, nel nostro caso che la serietà ha avuto la possibilità di imporsi su una politica imbastita di effimere parole d’ordine (che brutta parola la rottamazione!) e di incomprensibili propositi. Il significato della vittoria di Bersani è tutto racchiuso nelle uniche parole con contenuto di senso che ha proferito nel suo discorso di ringraziamento: “Io non vi racconterò favole”. Ecco, queste parole segnano il dopo del berlusconismo, un’era, cioè, caratterizzata dalle favole, che ha estraniato il Paese dai processi complessi che hanno caratterizzato il mondo, lasciando che la borghesia italiana, quella dell’italietta di sempre, continuasse a pensare  che  non fosse successo nulla, che nulla potesse intaccare i propri privilegi, esattamente come i nobili dell’ancien regime che continuavano a mangiare broche mentre il popolo moriva affamato. Per ciò mi sono chiesto a chi Bersani non dovrà raccontare le favole. Sicuramente non ai ceti produttivi, operai, artigiani, piccoli imprenditori, insegnanti, impiegati, pensionati, gente, cioè, che alle favole non crede più da tempo, che pensa proprio che non è più tempo di favole, oggi, che la crisi si è abbattuta solo ed esclusivamente sulle loro spalle. Né hanno bisogno di sentire favole le giovani generazioni, quelli che oggi hanno quarant’anni e che sono cresciuti nutriti dalle favole e dalle balle di Berlusconi. Quella di Bersani, allora, è la fine delle favole per tutti, per i furbi che continuano a godere dei servizi dello Stato senza pagare le tasse, per coloro che al merito  hanno preferito la raccomandazione, ai partiti che hanno occupato lo Stato pensando di essere essi stessi la democrazia, alle imprese che hanno pensato di sfruttare il territorio contro ogni logica di tutela e di salvaguardia degli equilibri naturali, quelli che pensano “consumo, ergo sum” credendo che le risorse siano inesauribili. Bersani sa pure che la favola della “mano invisibile” che regola il mercato e accontenta tutti, riesumata da Reagan e dalla Thatcher verso la fine del secolo scorso, non regge di fronte alle sfide della globalizzazione. Sa pure che il liberismo ha fatto il suo tempo, che capitalismo e comunismo, come si sono sviluppati nel secolo breve, hanno esaurito tutto il loro potenziale entro l’esperienza industrialista, che oggi occorre con coraggio percorrere nuove vie non solo per rispondere alle sfide della globalizzazione, ma per fronteggiare l’emergenza ambientale e l’esaurimento delle risorse naturali, dal petrolio all’acqua. I giornali ogni giorno ci raccontano di fabbriche che chiudono, di disoccupazione in costante aumento, di giovani che interrompono gli studi, di persone “per bene” che affollano nelle grandi città le mense della caritas. Proprio oggi a Genova, dove mi trovo per motivi familiari, una persona di buon aspetto, sicuramente non un barbone, mi ha fermato chiedendomi con educazione: “Signore, per favore, può darmi un euro, non mangio da giorni”. Ho sentito forte una commozione come non l’ho mai provata. Su Repubblica oggi ho letto che nel mezzogiorno d’Italia oltre trecentomila ragazzi sotto i 18 anni non si sono mai connessi ad internet, non hanno mai visto un cinema, non hanno mai letto un libro. Li chiamano i “disconnessi virtuali”, sono i nuovi poveri che si aggiungono ai “poveri vergognosi” come si chiamavano nel medioevo i nobili decaduti allo stato di povertà. Gli italiani hanno saputo esprimere il meglio delle proprie capacità nei momenti più drammatici, per questo motivo “l’hortus conclusus” del centro sinistra costituisce un limite forte per un’operazione politica di grande respiro, quando è più logico pensare ad un Patto per l’Italia capace di portare il Paese oltre il berlusconismo, oltre l’idea tutta provinciale e autarchica dell’italietta che riesce a risolvere da sola tutti i propri problemi con la speranza di rimanere fortificati ciascuno entro il proprio recinto fatto di effimere certezze. Per questo motivo Bersani è il politico che meglio di chiunque altro interpreta i segni del tempo che viviamo, per la sue caratteristiche, il suo modo lento, di mediare, mettere insieme, convincere, essere, insomma, inclusivo nel momento in cui c’è bisogno di gioco di squadra, qualcosa di più di un  personale protagonismo senza speranze. Lui che dice di non raccontare favole sa bene che, continuando di questo passo,  lor signori  rischiano di perdere la brioche e pure la testa.

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